nel sacerdozio ministeriale e battesimale
della Chiesa di Civitavecchia-Tarquinia
Cari amici,
l’Anno Santo della Misericordia continua ed ora, con la Quaresima e la Pasqua, vive il suo momento spirituale più intenso. Desidero accompagnarlo, come ormai è consuetudine, con queste mie semplici riflessioni.
Nel 1965 il cantautore italiano Francesco Guccini lanciò la canzone “Dio è morto” che il gruppo dei Nomadi portò al successo alcuni anni dopo. Il titolo però tradisce il contenuto della canzone: mentre descrive alcune situazioni di morte di Dio nelle persone, nella società, nell’ambiente in cui l’uomo vive e si relaziona, proclama la necessità di una nuova rinascita umana e spirituale. Dio è morto in alcune scelte e in alcuni comportamenti dell’uomo, ma alla fine “Dio è risorto, è vivo”. O non è così ancora dopo cinquant’anni? La canzone ha segnato e segna tutt’oggi una generazione arrabbiata per la morte dell’uomo e quindi per la morte di Dio, ma apre anche alla ricerca, alla speranza, all’incontro con un Risorto che cammina con l’uomo e che è il dono di un Amore senza misura.
1. Chi è il Dono del Padre?
E’ il suo Figlio Gesù Cristo, l’eterno Verbo, l’unica Parola pronunciata da Dio, che nel tempo prende la natura umana e si fa come noi.
E’ Colui che, amato da sempre dal Padre, da sempre lo riama e, amando e amandosi donano il frutto del loro amore che è lo Spirito Santo.
Questo amore della Trinità – Dio uno nella natura e triplice nelle persone – si fa dono e perdono in Gesù di Nazareth: è amore gratuito, è misericordia per tutti noi ma ci invita anche ad essere perdono e misericordia verso tutti i fratelli.
In altre parole, il dono ricevuto deve diventare dono offerto. Allora Dio vive, Dio è risorto!
2. Che cos’ è la Misericordia?
Il termine “misericordia” racchiude vari significati, che Papa Francesco esprime così: “Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato”.
(Bolla di indizione del Giubileo, Misericordiae Vultus, 2)
Nel linguaggio della vita cristiana, “misericordia” ha normalmente quattro significati:
- quello teologico: esprime il modo adottato da Dio nel manifestarsi all’uomo. L’avvenimento più significativo dell’Antico Testamento è l’intervento di Dio in favore del popolo d’Israele per liberarlo dalle sofferenze dell’oppressore egiziano: “Ho osservato la miseria del mio popolo…ho udito il suo grido…conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo…” (cfr Es 3,7-8). Nel Nuovo Testamento, l’evangelista Luca presenta il nostro tema con il racconto di tre parabole del Padre misericordioso, in cui Gesù manifesta la tenerezza, la compassione, la cura premurosa di Dio verso l’uomo debole, confuso e smarrito (cfr Lc 15,1-32);
- quello sacramentale: richiama direttamente il sacramento del perdono e della misericordia; il male compiuto dall’uomo è vinto dall’amore di Dio: “quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò” (Lc 15,20);
- quello etico-pratico: indica le opere di misericordia corporale e spirituale che i cristiani sono chiamati a compiere per rendere concreta la fede professata;
- quello spirituale: manifesta la devozione della divina misericordia legata alla figura di santa Faustina Kowalska e promossa da san Giovanni Paolo II.
Misericordia è il dono del Padre che offre all’umanità il suo Figlio; è il dono del Figlio che si consegna all’uomo per rivelare la misericordia del Padre; è il dono dello Spirito Santo che consacra ogni creatura ad essere, con il linguaggio e con i gesti, perdono e misericordia verso tutti.
3. Gesù è la via e il ponte della misericordia divina.
Dio, il Padre, comunica con l’uomo mediante il Figlio, come pure l’uomo arriva a Dio attraverso Gesù: Egli è la via e il ponte.
Santa Caterina da Siena commenta: “E’ un ponte con tre scaloni:
- il primo sono i piedi, che rappresentano l’affetto, infatti, come i piedi portano il corpo, così l’affetto conduce l’anima.
- I piedi inchiodati sono per te una scala per farti giungere al costato, che ti manifesta il segreto del cuore, ti dice quanto quel cuore sia consumato, non per proprio interesse, ma per riempirti d’amore.
- Si giunge poi al terzo scalone che è la bocca, dove si sperimenta la pace del perdono.
“La missione che Gesù ha ricevuto dal Padre è stata quella di rivelare il mistero dell’amore divino nella sua pienezza. «Dio è amore» (1 Gv 4,8.16), afferma per la prima e unica volta in tutta la Sacra Scrittura l’evangelista Giovanni. Questo amore è ormai reso visibile e tangibile in tutta la vita di Gesù. La sua persona non è altro che amore, un amore che si dona gratuitamente. Le sue relazioni con le persone che lo accostano manifestano qualcosa di unico e di irripetibile. I segni che compie, soprattutto nei confronti dei peccatori, delle persone povere, escluse, malate e sofferenti, sono all’insegna della misericordia. Tutto in Lui parla di misericordia. Nulla in Lui è privo di compassione”. (Bolla di indizione del Giubileo, Misericordiae vultus, 8)
4. La Chiesa è madre e casa di misericordia.
Nell’economia della missione universale del Figlio, il Padre vuole la Chiesa “universale sacramento di salvezza” (LG 1.8.9.48.52). A Lei è affidato il deposito della grazia meritata da Gesù sulla croce, perché gli uomini possano partecipare al dono della vita trinitaria.
Papa Francesco raccomanda di guardare la Chiesa come “popolo di Dio” (LG 2) e, nello stesso tempo, invita a riscoprire il nome più affettuoso che le appartiene, quello di madre.
Sono due termini che manifestano amore, invitano ad accogliere e a camminare insieme, per condividere il dono della misericordia.
“La Chiesa deve essere il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo”. (Papa Francesco, esortazione apostolica Evangelii Gaudium, 114)
La Chiesa quindi deve impiegare tutte le sue energie e risorse per essere parola, casa, scuola di misericordia.
A lei è affidata una triplice missione:
- predicare la misericordia, cioè attingere dalla Parola di Dio e dalla sua esperienza di fede per essere una Chiesa “in uscita” che va incontro a tutti, che prende l’iniziativa di “comunità in missione” e, a tutti, offre misericordia;
- celebrare la misericordia: “credere” vuol dire anche “celebrare” e se Gesù ha fatto conoscere un “Dio che è Amore” (1 Gv 4,8) anche nel celebrare si esalta un Dio che è amore e misericordia. La Liturgia è “espressione” rituale del mistero di Dio, ma soprattutto è “impressione” nell’uomo di un Amore-dono; è presenza viva di Cristo, è azione di salvezza, è manifestazione di Dio che chiede professione di fede, è “culmine” e “fonte”(cfr SC 10) che sintetizza in unità il cosmo, la storia, l’umanità, Dio stesso.
- praticare la misericordia: Gesù l’ha vissuta lungo le strade della Palestina accogliendo la richiesta di quanti avevano bisogno di perdono, di aiuto, di misericordia; oggi la Chiesa è chiamata a rimodellarsi su Gesù rinnovando ed attuando i suoi gesti di amore.
“Il mondo di oggi ha bisogno di misericordia, ha bisogno di compassione, ovvero di “patire con”. Siamo abituati alle cattive notizie, alle notizie crudeli e alle atrocità più grandi che offendono il nome e la vita di Dio. Il mondo ha bisogno di scoprire che Dio è Padre, che è misericordia”. (Papa Francesco, Intervista prima dell’apertura del Giubileo, 3 dicembre 2015)
E davanti alle reliquie dei Santi Pio da Pietrelcina e Leopoldo Mandic, lo stesso Pontefice aggiunge, rivolto ai sacerdoti cappuccini: “Vi parlo come fratello, e in voi vorrei parlare a tutti i confessori: il confessionale è per perdonare. E se tu non puoi dare l’assoluzione, per favore, non ‘bastonare’. La persona che viene, viene a cercare conforto, perdono, pace nella sua anima: che trovi un padre che lo abbracci e gli dica: ‘Dio ti vuole bene’; e che lo faccia sentire!”. (Papa Francesco, Omelia nella Basilica di San Pietro, 9 febbraio 2016)
5. La vocazione ad essere misericordiosi
Per misericordia l’uomo è stato creato e rigenerato a figlio di Dio; ed è la Provvidenza del Padre che conserva ogni creatura, costantemente la rigenera nella sua misericordia e sostiene la fatica dell’essere e rimanere in lui, in una continua conformazione a Gesù Cristo.
Ogni essere umano, ad imitazione del dono ricevuto, è poi impegnato a donare e diffondere amore e perdono. E l’amore di Dio, vissuto senza grettezza, dilata il cuore e raggiunge ogni creatura, in particolare quella più in difficoltà.
“Tutti, nessuno escluso, sono chiamati a cogliere l’appello alla misericordia per attingere all’essenza stessa della fede cristiana che riconosce in Gesù Cristo il Volto misericordioso del Padre celeste”. (Bolla di indizione del Giubileo, Misericordiae vultus, 18)
Raggiunti dal perdono di Dio, gli uomini sono chiamati ad una fraternità che superi le divisioni, le tensioni, i rancori che talvolta possono sorgere a livello personale, familiare, sociale ed ecclesiale. Un rancore insistente avvelena l’anima e corrode il cuore.
E non è debolezza saper perdonare ma è espressione di coraggio estremo, è amore vero, il più autentico perché il più disinteressato. “Se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete” dice Gesù – questo lo sanno fare tutti; “voi amate i vostri nemici” (cfr Mt 5,43-46).
A ciascuno è chiesto un amore di padre, di madre, di misericordia verso tutti, specialmente con chi sbaglia, tenendo presenti le parole di Gesù “con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi” (Mt 7,2).
Se il cuore è indurito dall’odio, non si è capaci né di accogliere l’amore misericordioso del Padre né di offrirlo ai propri fratelli.
6. Riconosceranno i discepoli di Gesù dalle azioni di misericordia
“Quando una mano si tende per compiere il bene o portare al fratello la carità di Cristo, per asciugare una lacrima o fare compagnia ad una solitudine, per indicare la strada ad
uno smarrito o risollevare un cuore ormai infranto, per chinarsi su uno che è caduto o insegnare a chi è assetato di verità, per offrire il perdono o guidare ad un nuovo inizio in Dio…Dio benedice e rimunera”. (Papa Francesco, Discorso ai vescovi statunitensi, 23 settembre 2015)
L’amore della Chiesa per le varie povertà dell’uomo si ispira al Vangelo delle beatitudini: per questo, nel corso dei secoli, senza dimenticare di richiamare agli obblighi di giustizia, essa ha individuato alcune azioni concrete di prossimità, 7 corporali e 7 spirituali.
Queste azioni di carità sono espressione dell’agire misericordioso della persona che dal piano dell’avere passa a quello dell’essere, fa esperienza che l’esercizio delle opere è anzitutto un bene per chi le compie.
“L’elemosina viene fatta solo con il danaro, le opere di misericordia con il danaro e con tutta la persona; l’elemosina viene fatta solo al povero, le opere di carità sia ai poveri che ai ricchi; l’elemosina viene fatta solo ai viventi, le opere di carità riguardano sia i vivi che i morti”. (Talmud, bSukkah, 49B)
Il giudizio di Dio, al termine della vita terrena, verte sulle opere di misericordia:
“Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”… “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”…
“In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,34-41).
Le opere di misericordia corporale
- Dar da mangiare agli affamati: affamati di che cosa? Resi affamati da chi? Costretti alla fame perché? Molte domande per molti tipi di fame!Gesù, con il pane di vita, moltiplicato e donato a tutti (Gv 6,1-13 e i testi paralleli dei Sinottici Mt14,13-21; Mc 6,32-44; Lc 9,10-17) ci offre l’esempio di come condividere il pane che sazia la fame e rinsalda la fraternità.
- Dar da bere agli assetati: l’acqua, elemento essenziale di vita, attira l’attenzione su molti testi biblici, dalla Samaritana (Gv 4,6) a Gesù sulla Croce (Gv 19,28.34) e ci ricorda la relazione sincera e fraterna con tutti, senza atteggiamenti neutrali.
- Vestire gli ignudi: la nudità evoca quella umana di Adamo ed Eva (cfr Gn 3,7-10) e rinvia alla nudità dei senza-dignità: lo schiavo venduto (Gn 37,23), la prostituta esposta agli sguardi di chiunque (Ger 13,26-27; Os 2,4-5), il malato di mente che vive una condizione di alienazione (Mc 5,1-20). Ed ecco il monito del Signore: “Fa parte dei tuoi vestiti agli ignudi” (Tb 4,16): condividi e dividi amore e misericordia.
- Alloggiare i pellegrini: essere forestiero è tipico dell’uomo pellegrino: Abramo (Gn 12-18) come il popolo d’Israele in terra egiziana (Es 22,20; 23,9); Gesù stesso è pellegrino sulle vie della Palestina “il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8,20) e chiede ai suoi discepoli di fare altrettanto “dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì” (Mc 6,7-12 e testi paralleli Mt 10,9-14 e Lc 9,1-6). La strada dell’accoglienza invita a spezzare ogni steccato di divisione e a ritrovare la bellezza e la gioia della vicinanza e della tenerezza.
- Visitare gli infermi: è avvicinare la persona ferita, assisterla e prendersi cura, come il samaritano nella parabola lucana (Lc 10,29-37); è accogliere la carne sofferente del fratello come “sacramento di Cristo”, suo segno visibile. La visita al malato, alla persona anziana, sola, e talvolta dimenticata anche dai familiari, è occasione di grazia per chi la compie, è gioia grande per chi avverte un cuore che ama.
- Visitare i carcerati: il carcere è una porta chiusa alle spalle, che vincola la libertà. Andare a visitare un recluso non è sempre possibile; si tratta piuttosto di un percorso interiore che rende ciascuno prossimo ad ogni fratello più piccolo e ferito.Due figure, con due gesti, sono di esempio a tutti: san Giovanni XXIII nella visita al carcere di Regina Coeli, il 26 dicembre 1958, dopo il suo primo Natale da Pontefice “ho messo i miei occhi nei vostri, ho avvicinato il mio cuore al vostro”; e san Giovanni Paolo II in visita al carcere di Rebibbia il 27 dicembre 1983 quando chiede che gli sia aperta la cella del suo attentatore per un colloquio personale. “Fissare lo sguardo e aprire il cuore”: è questa la via della misericordia e del perdono.
- Seppellire i morti: affidare alla terra il corpo dei defunti, in attesa della risurrezione, richiama il ventre materno che accoglie e dona la vita; simboleggia anche il luogo di una germinazione, in cui si compirà la fioritura della vita secondo lo Spirito: “seminato corpo animale, risorge corpo spirituale” (1 Cor 15,44); è l’insopprimibile desiderio di vita immortale. Per questo i vincoli di amore non si spezzano, i defunti continuano a vivere fra di noi e sono i nostri intercessori presso Dio.
- Consigliare i dubbiosi: il dubbio è tipico dell’uomo: è uno stato di incertezza e indecisione, una sospensione nella scelta per mancanza di una chiara visione. Chi vive nel dubbio si trova in una dimensione di debolezza che genera sofferenza interiore. E l’odierna cultura del valore della “variabilità delle opinioni”, sostenuta dai moderni maestri del “fai da te”, non favorisce spesso scelte serene e responsabili. La Chiesa continua a mostrare a tutti la luce della Verità, la quale ha una forza di attrazione per chi, con animo retto, si lascia consigliare.
- Insegnare agli ignoranti: è conoscere e far conoscere ciò che è essenziale nella vita; è opera di evangelizzazione, è aiutare ad incontrare Gesù Salvatore testimoniando, come Andrea e Filippo, a Natanaele: “Abbiamo trovato…vieni e vedi” (Gv 1,45-46). E modello di evangelizzatore è Gesù stesso, dodicenne, nel tempio di Gerusalemme: “seduto in mezzo ai maestri, li ascoltava e li interrogava” (Lc 2,46).
- Ammonire i peccatori: è aiutarli ad uscire da sé stessi per centrare la loro esistenza in Gesù Cristo e sugli altri. “Chi riconduce un peccatore dalla sua vita di errore, lo salverà dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati” (Gc 5,20). E un esempio di correzione fraterna la troviamo nel discorso sulla vita della comunità: “Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano” (Mt 18,15-17).
- Consolare gli afflitti: significa creare prossimità, farsi presenza e compagnia a chi è nella solitudine e nella desolazione, ad imitazione di Dio che è Padre di ogni consolazione. “Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio” (2 Cor 1,4). L’evangelista Giovanni ci offre in Maria e nelle donne presso la Croce, un quadro esemplare di consolazione: “stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Cleopa e Maria di Magdala” (Gv 19,25); rimanere accanto, stare vicino col cuore e con tutta la persona, è balsamo che lenisce ogni ferita.
- Perdonare le offese: Dio spezza il pane del perdono con tutti e invita a fare altrettanto. Generati nell’Amore e nella Croce, si genera nell’amore e nel perdono. “Perdona a noi come noi perdoniamo” è quanto domandiamo nella preghiera del Padre nostro. Chiedere e donare perdono fa uscire dal proprio orgoglio e aiuta a riconoscere la propria condizione di peccatore, bisognoso di misericordia; chiedere e donare perdono è forza di amore e l’amore vive di dono e perdono.
- Sopportare pazientemente le persone moleste: significa vivere in serenità la tensione fra ciò che vorremmo essere e fare e ciò che riusciamo di volta in volta a realizzare, fra il già e il non ancora. Per questo occorre pazienza, che è continuo esercizio di amore; è carità fraterna; è fedeltà e rispetto ad ogni persona; è dono di tempo, spazio di misericordia di Dio; è sapersi aspettare eliminando la fretta e l’orgoglio di voler arrivare per primi alle mete della vita.
- Pregare Dio per i vivi e per i defunti: questa opera di misericordia invita a guardare ai bisogni spirituali e materiali dei fratelli e a tessere comunione, attraverso la preghiera di intercessione, con coloro che ci hanno preceduto nella casa del Padre. Pregare per i vivi e i defunti implica il coraggio di abitare il mistero di Dio facendosi carico del mistero dell’uomo, in un continuo vivere tra “solitudine e solidarietà”: la solitudine contemplativa di Dio e la condivisione di un Amore, dato in dono.
“Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21). Ma qual è il tesoro dell’uomo se non la messe delle sue opere e il raccolto delle sue fatiche? “Infatti ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato” (Gal 6,7); e quale è la prestazione di ciascuno, tale sarà anche il compenso che riceverà (San Leone Magno, Discorso 92; cfr anche il CCC 2447-2449).
Ai miei amici e fratelli della Chiesa di Civitavecchia-Tarquinia, rinnovo l’augurio che Papa Francesco riporta nella sua prima esortazione apostolica: “La Chiesa vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto di aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva… è la ‘comunità di Cristo’ che evangelizza mediante opere e gesti … nella pazienza sa fruttificare … nella gioia sa festeggiare” (EG 24).
E “sarete beati se farete questo” (Gv 13,17).
Vi accompagno con il mio ricordo al Signore, nel cui nome tutti abbraccio e benedico,
+ don Luigi, vescovo