Ai miei fratelli
nel sacerdozio ministeriale e battesimale
della Chiesa di Civitavecchia-Tarquinia
Cari amici,
la solennità del Corpus Domini di quest’anno – 20 giugno 2019 – segna l’inizio dell’Anno Eucaristico che la nostra Chiesa di Civitavecchia-Tarquinia vuole celebrare fino alla stessa solennità il 14 giugno 2020.
L’Eucaristia è il dono che Gesù, prima della sua passione e morte, volle lasciare alla sua Chiesa, anticipando l’offerta della vita sulla Croce.
E’ il grande amore che Dio ha per l’umanità e non vuole che questa, lungo la strada della vita, venga meno, morendo di fame e di sete.
Per questo, nel tempo della salvezza, ha inviato il Figlio che si è fatto cibo e bevanda per nutrire il cammino della fede: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui… Chi mangia di questo pane vivrà in eterno” (cfr Gv 6,56-58).
Tutti e quattro gli evangelisti riferiscono l’episodio di Gesù che sfama le folle che lo seguono e lo ascoltano, dimenticandosi di mangiare.
E il gesto di Gesù che “ringrazia il Padre e condivide quel poco di cui la gente dispone”, è figura del nutrimento spirituale che Gesù offrirà ai suoi discepoli con il dono dell’Eucaristia.
Matteo (14,13-21 e 15,32-38) e Marco (6,30-44 e 8,1-9) riportano per due volte la moltiplicazione dei pani, a differenza di Luca (9,10-17) e Giovanni (6,1-13) che raccontano un solo episodio.
Il doppione in Matteo e Marco è il testo più antico e proviene da due tradizioni diverse.
- La prima, più arcaica e di origine palestinese, sembra collocare il fatto sulla riva occidentale del lago di Tiberiade e parla di dodici ceste, riferendosi alle tribù d’Israele e al numero degli apostoli del Maestro (cfr Mc 3,14ss).
- La seconda redazione invece, che deriverebbe da ambienti cristiani di origine pagana, colloca il fatto sulla riva orientale del lago, quella pagana (cfr Mc 7,31) e parla di sette sporte, numero delle nazioni di Canaan (At 13,19) e dei diaconi ellenisti (At 6,4 e 21,8).
Le due tradizioni descrivono il fatto alla luce di due narrazioni veterotestamentarie: la moltiplicazione dei pani da parte di Eliseo (2 Re 4,1-7.42-44) e l’episodio della manna e delle quaglie che sfama il popolo d’Israele pellegrino nel deserto (Es 16 e Nm 11).
ICONA BIBLICA
Desidero rifarmi al testo di Marco, il primo e il più antico delle sei narrazioni.
“Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i suoi discepoli dicendo: ‘Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congedali, in modo che, andando per le campagne e i villaggi dei dintorni, possano comprarsi da mangiare’. Ma egli rispose loro: ‘Voi stessi date loro da mangiare’. Gli dissero: ‘Dobbiamo andare a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?’. Ma egli disse loro: ‘Quanti pani avete? Andate a vedere’. Si informarono e dissero: ‘Cinque, e due pesci’. E ordinò loro di farli sedere tutti, a gruppi, sull’erba verde. E sedettero, a gruppi di cento e di cinquanta. Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero a loro; e divise i due pesci fra tutti. Tutti mangiarono a sazietà, e dei pezzi di pane portarono via dodici ceste piene e quanto restava dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini” (Mc 6,35-44).
Mi piace definire questo testo condivisione di ciò che uno possiede, anziché moltiplicazione dei pani, come normalmente viene chiamato.
In un luogo solitario Gesù dice una parola e compie un gesto che assumono un significato simbolico per tutti i tempi e in tutti i luoghi in cui la comunità cristiana si raduna per l’assemblea eucaristica.
Il tempo del pellegrinaggio nel deserto, considerato nel giudaismo una prefigurazione del tempo messianico, è anche il luogo dove Mosè istituì i “giudici”, persone a cui fare riferimento nelle questioni giuridiche, posti alla “testa del popolo come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine” (Es 18,25).
Mosè prefigura Gesù “nuovo Mosè” che distribuisce, in nome di Dio, il pane necessario alla vita.
La comunità cristiana è chiamata a riconoscere che quanto promesso nelle antiche profezie, non solo è stato compiuto, ma continua oggi a compiersi in una perenne condivisione.
“Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (At 2,42), così sono descritte le prime comunità cristiane.
L’ultima cena e il sacrificio della Croce continuano oggi nel segno sacramentale della Celebrazione Eucaristica: “ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice, annunciamo la tua morte, Signore, nell’attesa della tua venuta”.
Dopo aver mangiato, la folla viene congedata e Gesù si ritira sul monte a pregare (Gv 6,15). Il narratore non descrive la reazione dei partecipanti alla distribuzione del cibo che, neanche i discepoli compresero appieno (Gv 6,52): il loro cuore era indurito.
Il dialogo di Gesù con i discepoli, prima del fatto prodigioso, si fermava alle apparenze esteriori e l’invito del Maestro a dare loro stessi da mangiare li disorienta; la loro cassa non può sostenere la spesa per tutta quella gente.
Gesù allora s’informa di quello che la gente possiede cinque pani e due pesci e il miracolo poi si compie proprio nelle mani dei discepoli che agiscono secondo le indicazioni del Maestro: “fateli sedere a gruppi di cento e di cinquanta”. Il cibo viene distribuito, tutti sono saziati e ne avanzano dodici ceste.
L’azione di Gesù – parola e gesto – è posta al centro della narrazione: “prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero”. E’ il gesto eucaristico del rendimento di grazie, gesto che annuncia ciò che avverrà nell’ultima cena (Mc 14,22).
Qui, in questo luogo solitario, Gesù distribuisce alla folla affamata il pane e tutti vengono saziati.
E’ il cibo che il Messia offre al popolo ebraico.
Nella sala dell’ultima cena, attorno a Gesù, c’è soltanto un minuscolo gruppo dei suoi discepoli, i più intimi potremmo definirli, e questo piccolo gruppo è immagine della moltitudine futura convocata alla mensa della parola e del pane per essere nutrita nel cammino di fede verso la Gerusalemme celeste.
L’EUCARISTIA E’ IL CUORE DELLA CHIESA
Al centro della vita sacramentale della Chiesa c’è l’Eucaristia, da cui ogni segno nella Chiesa sgorga e a cui tutto converge.
L’Eucaristia infatti completa l’iniziazione cristiana, cioè il pieno inserimento nella comunità cristiana: è “fonte e apice di tutta la vita cristiana” (LG 11); l’Eucaristia è “medicina per i malati e sostegno nelle prove della vita” nei sacramenti di guarigione: la Penitenza e l’Unzione dei malati; l’Eucaristia è “vocazione alla santità e alla missione” nei sacramenti del servizio della comunione: l’Ordine e il Matrimonio.
“La Chiesa e il mondo hanno grande bisogno dell’Eucaristia e del culto eucaristico. Gesù ci aspetta in questo sacramento dell’amore. Non risparmiamo il nostro tempo per andare ad incontrarlo nell’adorazione, nella contemplazione piena di fede e pronta a riparare le grandi colpe e i delitti del mondo. Non cessi mai la nostra adorazione” (Giovanni Paolo II, Lettera Dominicae cenae, 3).
Eucaristia e Sacerdozio ordinato
Il sacerdozio ministeriale nella Chiesa – quello dei vescovi, dei sacerdoti e, accanto a loro il ministero dei diaconi per l’annuncio evangelico – ha uno strettissimo rapporto con l’Eucaristia.
Infatti nasce nel momento in cui il Signore istituisce l’Eucaristia ed è l’Eucaristia la principale ragione d’essere del sacramento del sacerdozio.
Cari confratelli nel sacerdozio ministeriale, con il Santo Pontefice anch’io ripeto: “mediante la nostra ordinazione – la cui celebrazione è vincolata alla santa Messa sin dalla prima testimonianza liturgica (cfr. Tradition apostolique de saint Ippolyte, nn.2-4) – noi siamo uniti in modo singolare ed eccezionale all eucaristia. Siamo, in certo modo, «da essa» e «per essa»… E affidato a noi, il grande «mistero della fede» (DC 2).
Eucaristia e Sacerdozio comune dei fedeli
L’Eucaristia poi è data a tutto il popolo di Dio nella Celebrazione ed è conservata come viatico e per l’ adorazione. Quindi l’Eucaristia unisce il sacerdozio ordinato a quello battesimale o sacerdozio comune dei fedeli e, celebrando l’Eucaristia, presbitero e assemblea dei fedeli, svolgono la missione principale della Chiesa.
“Dall’Eucaristia nasce la Chiesa e la Chiesa – ministro e fedeli – fa l’Eucaristia”: questo aforisma coniato dal teologo card. Henri de Lubac (1896-1991) afferma che l’Eucaristia rivela, edifica e plasma la Chiesa, mentre la Chiesa celebra, attualizza e vive l’Eucaristia.
Facendo l’Eucaristia, la Chiesa realizza se stessa. L’Eucaristia rende la Chiesa eucaristica e la Chiesa, rende l’Eucaristia ecclesiale.
Per questo, a tutti il Concilio chiede “piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche” (SC14).
Eucaristia e carità
Il culto eucaristico costituisce l’anima di tutta la vita cristiana. Se “la vita cristiana
si esprime nell adempimento del più grande comandamento, e cioè nell amore di Dio e del prossimo, questo Amore trova la sua sorgente proprio nel Santissimo Sacramento, che comunemente è chiamato: sacramento dell amore” (DC 5).
L eucaristia esprime dono, significa carità, la rende presente e la realizza.
Nell’Eucaristia conosciamo l’amore e siamo spronati ad amare. E amare è l autentica e più profonda caratteristica della vocazione cristiana: “avendo amato i suoi, li amò siano alla fine… vi ho dato l’esempio, perché anche voi facciate come io ho fatto” (Gv 13,1.15).
Così ha fatto Gesù ed ha comandato a noi di fare: un Amore che si lascia vincere, si lascia prendere, si lascia usare perché ci vuole bene e chiede di essere imitato: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34).
“Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane” (1 Cor 10,17): l’Eucaristia è vincolo di carità e segno di unità.
Eucaristia e vita
“Essendo sorgente di carità, l Eucaristia è stata sempre al centro della vita dei discepoli di Cristo. Essa ha l aspetto di pane e di vino, cioè di cibo e di bevanda, è quindi così familiare all uomo, così strettamente legata alla sua vita, come sono appunto il cibo e la bevanda” (DC 7).
Pane e vino – cibo e bevanda – sono gli elementi indispensabili alla vita e Gesù li assume per “donare sé stesso”.
Ad Abramo – siamo agli inizi della storia della salvezza – tornando da una guerra vittoriosa combattuta contro quattro re, gli appare un personaggio misterioso Melchisedek, re di Salem e sacerdote del Dio altissimo, che offre pane e vino e lo benedice (cfr. Gn 14).
La tradizione patristica lo ha identificato con la figura del Messia, re e sacerdote e, nel pane e nel vino portati ad Abramo, ha letto una figura dell’Eucaristia ed anche un vero sacrificio, figura di quello eucaristico.
Tale interpretazione la ritroviamo nella lettera agli Ebrei ai capitoli 5 e 7, quando l’autore sacro parla del sacerdozio di Cristo, ed è stata accolta nel canone romano – prima Preghiera Eucaristica – al momento dell’epiclesi per la comunione: “Volgi sulla nostra offerta il tuo sguardo sereno e benigno, come hai voluto accettare i doni di Abele, il giusto, il sacrificio di Abramo, nostro padre nella fede, e l’oblazione pura e santa di Melchisedek, tuo sommo sacerdote”.
Sempre nell’Antico Testamento, nel libro dell’Esodo, troviamo un altro pane, quello fatto con la manna per sfamare il popolo d’Israele nelle lunghe peregrinazioni nel deserto del Sinai.
Gesù, richiamerà questo fatto per affermare che è lui il vero pane, cibo venuto dal cielo: “Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,48-51).
E più avanti precisa: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui… Chi mangia questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,54-58).
Gesù afferma con vigore che è il Pane che scende dal Padre per diventare vita degli uomini, che nutre e dà forza per camminare sulla via del Vangelo.
Eucaristia sacrificio e convito
L’Eucaristia è un sacrificio: “che attua l’opera della nostra redenzione” (SC 2) e “il nostro Salvatore nell ultima cena…istituì il sacrificio eucaristico del suo corpo e del suo sangue, onde perpetuare nei secoli fino al suo ritorno il sacrificio della croce, e per affidare così alla sua diletta sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e della sua resurrezione” (SC 47).
Ne consegue che il vescovo e il presbitero celebranti compiono, in virtù della sacra ordinazione, l’atto sacrificale che unisce gli uomini al Padre.
Infatti sono il prolungamento di Cristo Sacerdote nel tempo della Chiesa.
L’assemblea dei fedeli, che partecipa in virtù del sacerdozio comune, senza sacrificare come il ministro ordinato, offre il proprio sacrificio, rappresentato dal pane e dal vino; e, con l’Amen conclusivo della Preghiera Eucaristica, ratifica il dono dell’offerta della propria vita, insieme all’offerta della vita di Gesù al Padre.
E’ utile ricordare alcune espressioni della terza Preghiera Eucaristica che manifestano particolarmente il carattere sacrificale dell’Eucaristia e uniscono, all’offerta di Cristo al Padre, l’offerta della vita dei cristiani: “ Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi, che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo, perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito…
Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito”.
L’Eucaristia è convito, mensa del pane del Signore, è cibo dato per essere mangiato: “Prendete, mangiate: questo è il mio corpo” (Mt 26,26). L’Eucaristia è donata per diventare Cibo che nutre, Vita per la nostra vita.
E’ il banchetto dell’Agnello a cui ogni battezzato è invitato a partecipare: “beati gli invitati alla cena del Signore”.
Occorre tuttavia fare attenzione a che i fedeli non si sentano né troppo indegni, da rifiutare di accostarsi al sacramento, né troppo faciloni senza una disponibilità interiore.
Anzi spesso si avverte la facilità con cui ci si accosta alla comunione senza avvertire il bisogno di essere purificati attraverso il sacramento della riconciliazione.
E’ vero che la “comunione non è premio dei buoni, è anche medicina per i malati” come ripete Papa Francesco, ma non si può accedere a ricevere Gesù eucaristico senza le dovute disposizioni interiori.
L’occasione dell’Anno Eucaristico può aiutare noi sacerdoti a riflettere su quanto ci è stato detto dal Vescovo nel giorno della ordinazione, consegnandoci il pane e il vino, offerti dal popolo per il sacrificio: “Ricevi le offerte del popolo santo per il sacrificio. Renditi conto di ciò che farai, vivi il mistero che è posto nelle tue mani e sii imitatore del Cristo immolato per noi” (Pontificale Romano, Rito di Ordinazione presbiterale).
Per quanto riguarda la comunione eucaristica ai fedeli è necessario ricordare, durante le Omelie e le catechesi, quelle che devono essere le dovute disposizioni, per ricevere degnamente il Corpo e il Sangue del Signore.
Circa l’uso della distribuzione sulla mano della Comunione si abbia cura che non vi siano deplorevoli mancanze, comunque i fedeli siano lasciati liberi di riceverla sia con la mano che in bocca, secondo quanto disposto dalla Conferenza Episcopale Italiana.
Il sacerdote è chiamato a far rispettare le norme, ma deve consentire al fedele di compiere la scelta che ritiene più opportuna.
EUCARISTIA NEL GIORNO DEL SIGNORE
Ogni volta che si celebra l’Eucaristia si celebra la Pasqua del Signore.
La comunità che si raduna in assemblea per fare memoria della Passione-Morte-Risurrezione di Gesù, attua quell’evento nel segno sacramentale. E dove avviene la celebrazione, ivi è presente la Chiesa. Perché è Gesù Cristo che agisce nella Liturgia, senza voler quantificare la presenza di coloro che partecipano alla celebrazione. In ogni luogo e in ogni tempo.
Tuttavia c’è un giorno particolare in cui, sin dalla Pentecoste, i cristiani si radunano in un determinato luogo (prima nella “domus” = casa, poi nelle grandi sale come le basiliche, infine dopo il 313 negli edifici di culto) ad una certa ora e in un luogo indicato, per fare assemblea e celebrare la Pasqua del Signore con la Cena Eucaristica. E questo giorno è chiamato domenica (da “Dominus” = Signore, cioè “giorno del Signore”).
La domenica era il primo giorno della settimana, il primo giorno dopo il sabato giudaico, quello in cui era avvenuta storicamente la risurrezione.
“Il giorno di sabato osservarono il riposo come era prescritto. Il primo giorno della settimana, al mattino presto esse [le donne]si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù” (Lc 23,56;24,1-3).
Su questa indicazione, tutti gli evangelisti concordano.
I cristiani così, il primo giorno della settimana, iniziarono a considerarlo un giorno speciale, il giorno che ricordava la risurrezione di Gesù, giorno di riunione per fare memoria e rendere presente la sua Pasqua.
Inizialmente questa assemblea settimanale sarà legata all’osservanza del sabato giudaico, dato che molti cristiani provenivano da quell’ambiente. Anzi, si servivano del sabato per andare in Sinagoga ad “ascoltare la Parola della Torah” ( = la Legge, contenuta nel Pentateuco), mentre il primo giorno della settimana si riunivano per celebrare la Liturgia della “frazione del pane”, come allora si chiama la Messa. Poi, a poco a poco, il primo giorno della settimana diviene l’unico “giorno del Signore”, il giorno festivo dei cristiani.
Già l’apostolo Giovanni, nel libro sacro dell’Apocalisse cita questo termine: “Fui preso dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro a me una voce potente…” (Ap 1,10).
In età post-apostolica, abbiamo la testimonianza di Sant’Ignazio, vescovo di Antiochia (107), che, in una sua lettera, afferma: “Coloro che vivevano secondo l’antico ordine di cose sono venuti a nuova speranza non osservando più il sabato, ma la domenica, giorno in cui la nostra vita è risorta per mezzo di lui e della sua morte” (Lettera ai Magnesi).
Così pure nella Didachè o Dottrina dei dodici apostoli (scritto di autore sconosciuto tra la fine del I secolo e l’inizio del II) si legge: “Nel giorno del Signore radunatevi per la frazione del pane e l’eucaristia, dopo aver confessato i vostri peccati perché il vostro sacrificio sia puro” (Didachè 14).
Alcuni anni dopo, S. Giustino (165) scrive: “E nel giorno chiamato del Sole ci raccogliamo in uno stesso luogo, dalla città e dalla campagna, e si fa lettura delle memorie degli Apostoli e degli scritti dei Profeti… Ci raduniamo tutti dunque il giorno del Sole, perché è il primo giorno in cui Dio, cangiate tenebre e materia, plasmò il mondo e, in cui Gesù Cristo, Salvatore nostro, risorse dai morti” (Apologia 67).
Da questa prima Celebrazione Eucaristica domenicale, in memoria della Pasqua di Cristo, si svilupperà lentamente l’Anno Liturgico, in cui il giorno principale sarà la domenica, giorno del Signore, Pasqua della settimana.
L’ANNO EUCARISTICO
In questi anni, accogliendo indicazioni e suggerimenti, la nostra Chiesa di Civitavecchia-Tarquinia ha compiuto delle scelte pastorali.
L’anno 2012-2013 è stato voluto dal Papa emerito Benedetto XVI come Anno della Fede che poi ha concluso il suo successore Papa Francesco.
L’intento del Papa era di fare memoria dell’inizio del Concilio Vaticano II e del ventennale della promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica per offrire ai fedeli di tutta la Chiesa nuove vie di evangelizzazione alla crisi di fede della società contemporanea.
Fede ripensata per essere vissuta.
L’anno 2014-2015, con i Consigli Presbiterale e Pastorale della diocesi, è stato indicato come Anno Mariano per risvegliare in tutte le realtà associative e parrocchiali un’azione evangelizzatrice “al di fuori dell’edificio di culto” e raggiungere, con la catechesi e la preghiera, tanti nostri fratelli e sorelle, senza dimenticare gesti concreti di carità per quanti versano in condizioni di disagio.
L’anno 2015-2016 Papa Francesco l’ha proposto come un anno giubilare straordinario: Anno della Misericordia. L’intento del Pontefice era chiedere ed offrire misericordia, sperimentare il perdono di Dio e, resi nuovi dal perdono divino, diventare strumenti di misericordia e di riconciliazione con tutti, ad iniziare dalla propria famiglia per raggiungere tutte le persone.
L’anno 2019-2020 desideriamo sia un Anno Eucaristico, per tornare alle radici della nostra salvezza e fare della nostra esistenza un inno di lode, di ringraziamento, di adorazione.
Con questo intento è stato pensato ed è ora proposto a tutta la comunità diocesana.
Inizia giovedì 20 giugno 2019 giorno in cui a Civitavecchia si celebra il Corpus Domini per concludersi a Tarquinia la domenica pomeriggio del 14 giugno 2020.
La Celebrazione Eucaristica e a seguire la Processione, saranno i due momenti nei quali tutta la Chiesa diocesana si ritroverà: vescovo, presbiterio, religiosi e fedeli tutti sono chiamati a manifestare visibilmente la propria unità di fede e rendere culto all’Eucaristia, presenza reale di Cristo nel Sacramento.
Saranno le due manifestazioni esterne agli edifici di culto per dare visibilità al nostro convenire di “popolo di Dio che cammina insieme”.
Pertanto, in tutta la diocesi, in quelle due circostanze, saranno sospese tutte le Celebrazioni per convergere nell’unica di Civitavecchia e di Tarquinia.
A tutte le comunità cristiane viene chiesto di porre attenzione:
- a Celebrare bene l’Eucaristia quotidiana, soprattutto quella domenicale, rivedendo anche il numero delle Celebrazioni stesse, in modo che le assemblee più numerose offrano la possibilità di formare autentiche comunità di fede.
- Inserire nella Celebrazione Eucaristica domenicale il Sacramento del Battesimo. Ogni Parrocchia stabilisca una o più domeniche al mese in cui, dentro una Celebrazione Eucaristica di orario oppure appositamente programmata per il pomeriggio, si possano convogliare quanti richiedono, in virtù della loro fede, la rinascita dei loro figli alla vita di “figli di Dio”. Non si può più tollerare che quanti sono battezzati e quindi chiamati a santificare con l’Eucaristia il giorno del Signore, chiedano il Sacramento della grazia per la loro creatura dimenticando il loro impegno di vita cristiana. Noi sacerdoti non possiamo rimanere complici di questo loro comportamento.
- Valorizzare l’Adorazione Eucaristica settimanale e l’Adorazione annuale dell’Eucaristia (le cosiddette Quarantore) e laddove non sono presenti, vedere se, come e quando poterle inserire. Tanti Santi hanno fatto dell’Eucaristia celebrata e adorata il centro della loro vita e del loro apostolato e dall’Eucaristia sono fiorite numerose vocazioni alla vita sacerdotale e consacrata e sono nate tante opere di carità. Per tutti vorrei citare Santa Madre Teresa di Calcutta. A proposito dell’Adorazione Eucaristica, desidero ricordare l’indicazione liturgica che invita ad adorare l’Eucaristia dopo averla celebrata, e non viceversa: “è dall’Eucaristia celebrata che deriva l’atto di adorazione e il sostare in compagnia del Signore”.
- Vorrei sottolineare ancora la Celebrazione Eucaristica che apre il Triduo pasquale, normalmente chiamata ”in cena Domini”, con l’adorazione solenne fino alla mezzanotte e quella privata e più silenziosa del venerdì santo fino alla Celebrazione della Passione del Signore.
- Valorizzare anche la tradizionale “visita alle 7 chiese” perché da semplice passeggiata religiosa, diventi atto di vera adorazione in Gesù Eucaristia ed espressione di autentica fede creduta e pregata.
- Cogliere l’occasione per ripulire e ridare dignità alla custodia eucaristica, comunemente chiamata Tabernacolo, dove viene collocata, al temine di ogni Celebrazione, l’Eucaristia non distribuita ai fedeli. La normativa liturgica prevede, dove è possibile, la Cappella del SS.mo Sacramento, luogo riservato dove si può adorare personalmente e con più intimità Gesù Eucaristia. Desidero ricordare l’episodio del contadino di Ars che, tornando ogni sera dai campi, si fermava nella Chiesa parrocchiale. Il Santo Curato Giovanni Maria Vianney, vedendolo, un giorno gli chiese cosa facesse e lui, con molta semplicità, rispose: “io lo guardo e lui mi guarda”. Penso sia l’adorazione e l’espressione più alta dell’amore verso Gesù Eucaristico.
- Molte delle nostre Chiese parrocchiali conoscono il giorno della loro Dedicazione, giorno in cui quell’edificio, è diventato luogo di culto e spazio per la comunità cristiana. Occorre farlo rivivere annualmente nel cuore e nella vita della comunità e renderlo festa di famiglia. Potrebbe essere l’occasione per raggiungere tutte le famiglie della Parrocchia, specialmente gli sposi e i giovani. E’ questa l’occasione anche per sensibilizzare la comunità con gesti di accoglienza e di fraternità, di cui la nostra società individualista ed egoista ha urgente bisogno.
- Il Consiglio Presbiterale ha proposto alla diocesi – Parrocchie, Rettorie, Cappellanie delle religiose – una settimana vocazionale: dalla II domenica di Pasqua 19 aprile 2020 alla III domenica il 26 aprile 2020.
Queste le indicazioni:
per le due domeniche saranno preparate due Preghiere dei Fedeli da leggersi durante le Celebrazioni Eucaristiche, per chiedere al Signore “operai per la sua messe”.
Durante la settimana, ogni giorno dopo la Celebrazione Eucaristica ci sia un tempo per l’adorazione che si concluderà con la Benedizione Eucaristica.
Saranno predisposte sei schede per la riflessione e la preghiera che aiuteranno nell’adorazione personale e comunitaria.
In questa settimana non si sovrapponga nessun’altra attività pastorale se non il richiamo costante al dono della vocazione perché la nostra Chiesa diocesana torni ad essere “madre” che genera figli per il servizio ministeriale e di consacrazione. - Durante i tempi liturgici dell’Avvento e della Quaresima si suggerisce di tenere in ogni Parrocchia delle catechesi sul mistero Eucaristico oppure dei brevi corsi di Esercizi Spirituali, i cui temi potrebbero essere i testi eucaristici sia dei Vangeli come delle lettere paoline.
Per i ragazzi del catechismo potrebbe essere utile presentare loro i numerosi “fatti miracolosi eucaristici” con un pellegrinaggio riservato a loro e alle loro famiglie, per visitare uno dei luoghi in cui l’evento si è manifestato. - Altre iniziative coinvolgeranno la diocesi o le zone pastorali, come del resto ormai da anni sono portate avanti dai vari Uffici diocesani e pertanto saranno proposte di volta in volta e avranno come riferimento principale il Mistero Eucaristico.
CONCLUSIONE
A queste prime semplici riflessioni e indicazioni, seguiranno altre sulla Celebrazione Eucaristica e sulla Missione della Chiesa che, dalla Eucaristia sgorga e attinge forza.
I cristiani sono chiamati ad essere come i raggi dell’ostensorio: quanto più convergono verso il centro, tanto più si uniscono tra loro, per poi diradarsi e riflettere nel mondo la luce e il messaggio di Colui che hanno incontrato e che è collocato al centro, il Signore vincitore e glorioso.
I dodici hanno poco, solo “cinque pani e due pesci”, che non bastano neppure ad assicurare la cena al piccolo gruppo. E’ poco, ma tutto è messo a disposizione, e il segno del pane condiviso rende felice il popolo dei credenti che segue Gesù.
Tutto ciò che abbiamo e possediamo deve diventare sacramento di condivisione.
L’uomo è fatto per dare. Siamo fatti per dare con gioia, dare dal cuore.
Amare, nel vangelo, si traduce sempre con un altro verbo, così breve, semplice, concreto, il verbo “dare”: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio” (Gv 3,16); “non c’è amore più grande che dare la propria vita” (Gv 15,13).
Cinque pani soltanto. Il loro numero ricorda i sassi di torrente che Davide raccoglie per la sua fionda e così affrontare il gigante Golia. Non poteva camminare con tutta l’armatura di cui Saul l’aveva rivestito. “Se ne liberò. Poi prese in mano il suo bastone, si scelse cinque ciottoli lisci dal torrente e li pose nella sua sacca da pastore, nella bisaccia; prese ancora in mano la fionda e si avvicinò al Filisteo” (1 Sam 17,38-40).
Dobbiamo liberarci dai nostri pesanti fardelli, per recuperare il senso della gratitudine, dell’adorazione, della libertà interiore, del “dare”, della condivisione.
Non possiamo seguire il Signore e tutto ciò che è opposto a lui e al suo Vangelo.
Dobbiamo ripetere spesso al Signore quello che la vite dice al potatore: “fammi povera e ti farò ricco”. E Madre Teresa di Calcutta aggiunge: “Tutto ciò che non serve, pesa”.
Per poter correre, liberi e attratti dalla luce che è Cristo, Figlio di Dio, presente nel SS.mo Sacramento dell’Eucaristia, occorre essere liberi, agili, senza inutili e pesanti zavorre, trasformati dalla tenerezza che il Vangelo comunica.
Cinque pani e due pesci: sono la nostra povertà, ma anche la nostra libertà di figli di Dio!
Una povertà che, collocata nell’Amore di Dio, diviene ricchezza di perdono e di misericordia.
Con la benedizione del Signore