«L’arte di entrare nella vita delle persone per accompagnarle all’incontro definitivo e centrale della propria esistenza, l’incontro con Dio». È questa l’azione pastorale che, secondo il vescovo Gianrico Ruzza, la Chiesa di Civitavecchia-Tarquinia è chiamata ad attualizzare in questo tempo di «isolamento umano e sociale».
Giovedì 1° ottobre, in Cattedrale, il presule ha concluso l’Assemblea diocesana con il tema “La crisi ambientale e la paura della morte nell’epoca del coronavirus: annuncio di salvezza e impegno per l’uomo alla luce di Cristo”. Oltre trecento persone, in rappresentanza delle comunità parrocchiali, dei movimenti e delle associazioni ecclesiali, hanno preso parte all’incontro suddivisi tra la chiesa e la sala “Giovanni Paolo II”, nel rispetto delle misure di sicurezza.
L’assemblea si è aperta con una breve liturgia della Parola ed ha visto la relazione di don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale sociale e del lavoro della Cei.
«All’inizio del mio ministero tra voi – ha sottolineato monsignor Ruzza (il testo integrale dell’intervento) – sento il dovere di aprire un cammino su cui proseguire il percorso fatto negli anni trascorsi». Un cammino che dovrà per forza tener conto delle conseguenze della pandemia. «Inutile nascondere – ha detto – che le ripercussioni sulla vita pastorale delle nostre comunità sono palpabili e ci interrogano se non altro per il decremento di presenze e ancor più per l’impossibilità allo stato attuale di realizzare ogni forma di vita oratoriale».
In questa società «in grande affanno» che «la pandemia ha reso più instabile», il pensiero del presule va soprattutto ai giovani tra i quali «è diffuso il senso di precarietà». «Vorremmo essere –ha sottolineato – una Chiesa che desidera uscire dal recinto e decide di farlo: stare con la gente, capire le situazioni che vive, intercettare le domande vere e insistenti che affollano il suo cuore, proporle percorsi di fraternità e di incontro, superare steccati e barriere tra la nostra gente e le nostre istituzioni».
Per questo, l’enciclica Laudato Si’ «è un valore aggiunto» che si inserisce nel «percorso di formazione e di iniziazione tradizionale e comprende in pienezza il cammino eucaristico domenicale». Vivere un anno di contemplazione attraverso l’enciclica, ha concluso, «ci consentirà di entrare in relazione con tutti coloro che condividono preoccupazioni e sofferenze circa le sorti del creato e della vita sociale», «un percorso importante ed esaltante per rileggere la nostra presenza nella società per aprirci spazi nuovi di interazione e di dialogo».
Per don Bruno Bignami «la lettura che la Laudato Si’ fa della crisi ambientale permette di non isolarla dalle questioni sociali del nostro tempo», in quanto «la crisi sanitaria in seguito alla pandemia ha acuito problemi già presenti e velocizzato processi che sarebbero stati molto più lenti». Per il sacerdote, il magistero di Francesco ha evidenziato come si viva lo scontro tra due modelli di umanità. «Il primo è quello dello scarto, dove tutto è ridotto a oggetto e si perde il senso delle cose». A questo si contrappone «il modello della cura che vive la responsabilità morale come risposta di fronte a ogni situazione». Questo si innesta nella crisi attuale in cui «la pandemia ha fatto da acceleratore di processi, velocizzando ciò che nel tempo sarebbe scoppiato perché eticamente sbagliato e superato». Un processo che ha coinvolto anche la Chiesa che ha mostrato «una ecclesiologia obsoleta e una teologia poco aderente alla realtà». Il responsabile della pastorale sociale invita a «un cambio di mentalità perché la persona sia davvero al centro della vita sociale e del lavoro». «La sfida da accogliere – ha spiegato – è quella di accompagnare i cambiamenti perché siano guidati da domande etiche: mettere in luce i criteri di giustizia sociale, verificare se una scelta comporta esclusi o scarti umani».