«Dio perdona tutto e Dio perdona sempre! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono». Così papa Francesco si è rivolto ai detenuti e al personale del carcere Nuovo Complesso di Civitavecchia dove, in forma privata, ha celebrato la Messa “in Coena Domini” del Giovedì Santo.
Il Pontefice è stato accolto dalla direttrice dell’istituto Patrizia Bravetti e dal cappellano, padre Martin Vattamattathil Mathew, nella sua sesta visita a un penitenziario, tutte svolte nel giorno che segna l’inizio del triduo pasquale. Una tradizione che il Pontefice iniziò proprio una settimana dopo la sua elezione, nel 2013, andando nel carcere minorile di Casal del Marmo.
«Un segno importante per la comunità carceraria e un dono per tutta la città che ospita due istituti penitenziari, con oltre cinquecento detenuti, e dove sono molti i lavoratori che vi operano: agenti, educatori e amministrativi». È stato il commento del vescovo Gianrico Ruzza alla visita del Papa, mettendo in risalto l’opera della Chiesa locale all’interno dei due complessi che vedono l’impegno dei cappellani, dei diaconi, delle Suore Ancelle della Visitazione e dei numerosi volontari della Comunità di Sant’Egidio, della Caritas e di altri organismi ecclesiali.
La celebrazione è stata animata dai detenuti, con il coro, le letture e le preghiere. Il Papa ha svolto la “lavanda dei piedi” a tre donne e dodici uomini. La prima a incontrare il Santo Padre è stata una reclusa di nazionalità ucraina.
Il Vescovo di Roma ha commentato le letture del giorno ‘a braccio’, parlando del segno della Lavanda dei piedi, “cosa strana” in questo mondo: «Gesù, con un gesto che anche tocca il cuore, lava i piedi al traditore, quello che lo vende. Ci insegna questo, semplicemente: fra voi, dovete lavare i piedi, dovete servirvi; uno serve l’altro, senza interessi».
Ha poi sottolineato come «Gesù perdona tutto. Soltanto vuole la fiducia nostra di chiedere perdono. Tu lo puoi fare quando stai da solo, quando stai con altri compagni, quando stai con il sacerdote. Questo è il pensiero che vorrei lasciarvi. Servire, aiutarci l’un l’altro ed essere sicuri che il Signore perdona».
Introducendo la lavanda dei piedi, Francesco ha detto «lo faccio di cuore perché noi sacerdoti dovremmo essere i primi a servire gli altri, non a sfruttare gli altri. Il clericalismo alle volte ci porta su questa strada. Ma dobbiamo servire. Questo è un segno, anche un segno di amore per questi fratelli e sorelle e per tutti voi; un segno che vuol dire: “Io non giudico nessuno. Io cerco di servire tutti”».
In una delle Preghiere dei Fedeli, dedicate anche alla pace e a chi soffre, è stato scandito: «Per i nostri compagni più fragili, che in carcere hanno perso la vita, perché il Signore li accolga nel suo abbraccio amoroso e faccia splendere la beatitudine sui loro volti» a cui è seguito un applauso in segno di partecipazione.
Un tema, quello della sofferenza e dell’emarginazione, ripreso anche nel saluto della direttrice Bravetti. «Qui c’è una umanità diversificata e complessa in cui intravediamo tante fragilità”». Per la dirigente, tra le molte difficoltà, si riescono anche a vedere nuove vite, nuove speranze, nuovi traguardi.
«Una visita che lascerà il segno – dice Massimo Magnano, che coordina i volontari di Sant’Egidio – perché il carcere di Civitavecchia ospita molti detenuti stranieri, che non hanno contatti con i familiari. È un carcere isolato, difficile da raggiungere, che da ancora di più senso di emarginazione. Il Papa ha portato per tutti l’abbraccio della Chiesa». Magnano sottolinea il saluto speciale che Francesco ha fatto ai detenuti rimasti nelle celle, passando lungo tutto il perimetro dell’istituto per far sentire la sua vicinanza.