Assemblea sinodale: liturgia e formazione per alimentare la speranza

Si è svolto il 5 ottobre il secondo appuntamento dell'Assemblea diocesana: il confronto con i tavoli sinodali

La speranza cristiana: che cos’è? Come la alimentiamo e dove la mostriamo? In che modo “trasforma” la nostra vita? Parte da queste tre domande la riflessione che il vescovo Gianrico Ruzza ha proposto sabato 5 ottobre al secondo appuntamento dell’Assemblea diocesana di inizio anno. Iniziativa che segue quella del 20 settembre che si è svolta a Cerveteri con la partecipazione del teologo don Antonio Landi.

Circa duecento le persone presenti nella parrocchia di San Felice da Cantalice – molti parroci insieme ai rappresentanti delle comunità parrocchiali e dei movimenti ecclesiali – che, dopo l’intervento del presule, sono stati suddivisi in 15 gruppi per approfondire il tema «Ancorati alla speranza». Accompagnati dai facilitatori, dopo la riflessione su due passi biblici, attraverso il metodo della conversazione spirituale i partecipanti si sono confrontati su due quesiti: quali sono gli ambiti prioritari per sperare in un futuro autentico per le nostre comunità? Quali atteggiamenti della tua comunità non appaiono trasparenti e quale speranza nutri verso atteggiamenti di autentica carità?

«La speranza cristiana – ha detto il vescovo riprendendo la relazione del di Landi alla prima Assemblea – si oppone alla “chiusura” del cuore: ad ogni forma di egoismo, di solitudine, di delusione, di disincanto: tutte realtà che opprimono il cuore dell’uomo». «Avere speranza – ha detto il presule – vuol dire credere in Dio e credere che Dio sarà fedele alle promesse che ci ha fatto. Non si può dire di essere credenti se non si spera nella vita eterna che il Signore ci ha annunciato e promessa, ottenendola per noi».

Per questo, ha spiegato Ruzza, la speranza non può essere considerata come qualcosa di nuovo o di “miracoloso”, piuttosto, invece, come «attesa di Colui che dà significato ad ogni cosa, di Colui che fa nuove tutte le cose». Da qui l’invito a riflettere su come questa entri nella vita delle comunità, chiedendoci se veramente ognuno di creda nella Resurrezione.

Altro aspetto fondamentale, per il presule, è quello di «alimentare» questa «fiducia» nella speranza di Cristo. Per questo, ha detto, sono emerse indicazioni importanti dal cammino sinodale.

Anzitutto per quello che riguarda la liturgia con «l’esigenza di ripensare la sua bellezza e la richiesta che torni ad essere al centro della vita della comunità cristiana». La formazione è il secondo pilastro che alimenta la speranza. «Un tema importante e caldo», ha detto. «Pensando ai cammini formativi offerti nell’attuale situazione ecclesiale – ha spiegato – prevalentemente legati all’iniziazione cristiana, penso di dover sottolineare alcune dimensioni che li caratterizzano: usura, inadeguatezza rispetto alla cultura del tempo che vivono i nostri giovani, semantica incomprensibile e lontana dalla vita delle persone, incapacità a trasmettere l’entusiasmo della fede». Da qui l’invito a «cercare presto un percorso di cambiamento che consenta una maggiore aderenza alla vita delle persone e che entri direttamente in dialogo con la cultura degli uomini e delle donne di oggi». Nell’ambito del cammino sinodale, ha sollecitato Ruzza, devono emergere proposte su che tipo di formazione, con quali strumenti realizzarla, da chi deve essere proposta.

Come già nella lettera pastorale di inizio anno, il vescovo ha parlato della speranza che porta al «cambiamento di vita». «Occorre ha detto – ricevere la speranza dalla Grazia di Dio: è virtù teologale che solamente l’Amore infinito di Dio può ottenerci. Che presuppone una nostra disponibilità a riceverla con un atteggiamento di vigilanza».

Da qui l’invito a imparare a controllare le passioni; saper scrutare i segni dei tempi e comprendere in quale società viviamo; essere solleciti nell’individuare le criticità sociali e morali per tutelare i più deboli e prendersi cura dei fragili; proteggere i piccoli e i giovani per introdurli ad una vita bella e sana; avere uno sguardo sempre aperto verso il futuro promesso dal Signore come futuro di eternità. «La vigilanza introduce all’attesa – ha detto Ruzza -, alla certezza di un compimento che ha da venire e che è fine cui tendiamo. Attesa di un qualcosa e soprattutto di un Qualcuno».