«Il sacerdote nel suo ministero deve intravedere i frutti che la persona incontrata dalla grazia produrrà. Si impara a intravedere se si ama la gente, il suo linguaggio, si ascolta il suo pianto. Il presbitero deve porsi in ascolto del popolo; egli è un contemplativo della Parola ed anche un contemplativo del popolo di Dio».
Nell’omelia della Messa del Crisma, che si è svolta mercoledì scorso nella Cattedrale di Civitavecchia, il vescovo Luigi Marrucci si è rivolto soprattutto ai sacerdoti diocesani.
La celebrazione eucaristica – in cui «si manifesta in modo del tutto particolare la visibilità della Chiesa diocesana» – ha aperto il triduo pasquale ed è stata concelebrata da tutto il clero della diocesi, con la partecipazione di religiosi e consacrati e una folta rappresentanza di animatori e collaboratori pastorali delle parrocchie. Si tratta di una liturgia, inserita nei riti della Settimana Santa, che rappresenta uno dei momenti liturgici più importanti per la vita della comunità cristiana. È anzitutto la celebrazione in cui tutti, consacrati e laici, esprimono il loro sacerdozio che deriva da Gesù Cristo. Sia quello che scaturisce dal battesimo che quello ministeriale, che sgorga dal sacramento dell’ordine. Per questo, durante la liturgia, i presbiteri hanno rinnovato le promesse sacerdotali in comunione con il Vescovo.
Durante la Messa è stata inoltre invocata la benedizione di tutti gli Oli Sacri: quello degli infermi, dei catecumeni e l’olio per la consacrazione delle persone, dei luoghi e degli oggetti di culto.
Monsignor Marrucci ha preso spunto per l’omelia dal Salmo 104: “Tu doni… il vino che allieta il cuore dell’uomo, l’olio che fa brillare il suo volto e il pane che sostiene il suo vigore”, spiegando che «il ministro ordinato è “profeta del sangue”, “pane spezzato” e “unzione crismale”» (omelia integrale).
«Il ministero – ha sottolineato il vescovo – sgorga dal sangue di Gesù Cristo e questo sangue è a noi affidato per essere ministri e per alimentare il dono del ministero, ma il sangue è anche donato per la consacrazione dei fedeli laici». «Il sacerdozio – ha poi ribadito – è generato sulla Croce e nasce dal sangue del Figlio di Dio morente-redentore e che trova nell’Eucaristia, celebrata dalla Chiesa, la sua perenne attualità».
Il Pastore si è poi soffermato sul “pane spezzato”, ricordando come nella Bibbia il pane è cibo, nutrimento, elemento di prima necessità; che evoca la fatica della seminagione e delle successive fasi di preparazione fino ad essere posto sulla tavola per essere spezzato e condiviso.
«Un bene – ha spiegato- che viene donato, fino a sazietà, a coloro che seguono il Maestro, attratti dalla sua Parola, che nello spezzare il pane si fa riconoscere Risorto, da chi, come i discepoli di Emmaus, non sono riusciti ad identificarlo con gli occhi». «Il pane – ha poi aggiunto – è immagine della vita del presbiterio diocesano: i sacerdoti e i diaconi, nella varietà dei carismi, sono chiamati ad essere un unico corpo ecclesiale, come i molti semi di grano formano l’unico pane». Per questo, ha sottolineato il presule «abbiamo bisogno di ritrovare la gioia della donazione, di gustare la fragranza dell’unico presbiterio che ci accoglie e ci custodisce, di condividere il pane dell’amicizia fraterna che sazia la fame e non ci spinge alla ricerca di altri alimenti».
Anche l’olio è un alimento che nella Sacra Scrittura viene indicato per mole funzioni: rinvigorisce le membra fortificandole e distendendole, è segno di ospitalità e di festa, illumina le notti, è medicinale, rende succulenti i cibi, serve per consacrare oggetti e persone al servizio di Dio e al culto.
«Siamo tutti unti, – ha detto monsignor Marrucci – dallo Spirito di Dio mediante i sacramenti del Battesimo, della Confermazione, dell’Ordine sacro: siamo chiamati ad essere luce, a dare gusto alla vita, a lenire le sofferenze dei fratelli, a portare gioia e serenità facendo della nostra esistenza un’offerta profumata al Signore. Siamo sacerdoti per questo».
I tre elementi – vino, pane, olio – si ottengono mediante un procedimento di macinatura: così gli acini d’uva, i chicchi di grano e le olive. « Questo stritolamento – ha sottolineato il vescovo – evoca la sofferenza e il martirio, richiama il mistero e la sapienza della croce che ci vuole solidali e ci rende corredentori».