Derubati della domenica. In un contesto socio-economico nel quale il lavoro è sempre meno centrale ma contemporaneamente sempre più pervasivo nella vita delle persone, il dover rinunciare al riposo festivo non riguarda più solo alcuni servizi essenziali ma è da considerarsi un lusso per diverse categorie di lavoratori.
La necessità di armonizzare i tempi di lavoro coi tempi di vita è stata più volte sollevata, da ultimo nel corso della scorsa Settimana Sociale di Torino, non soltanto per motivazioni di carattere religioso, ma come esigenza propria delle persone, esigenza di socialità, di diritto ad una vita privata e vita familiare, a coltivare interessi al di fuori del mondo del lavoro.
In realtà la tendenza a tenere occupate le persone sette giorni la settimana non ha motivazioni economiche così evidenti. Tant’è vero che famose multinazionali hanno avviato da tempo politiche aziendali rispettose dei tempi di vita dei propri dipendenti, e diversi studiosi sostengono che la contrazione del tempo ‘libero’ ha effetti ‘deprimenti’ su tutta l”economia. C’è dunque, alla base, una concezione ideologica per la quale non è il lavoro per l’uomo ma l’uomo per il lavoro.
Dentro questo scenario si colloca la mortificazione della Domenica come giorno dedicato al Signore. E non allo shopping compulsivo nei centri commerciali. Di questo non possiamo dare la colpa a nessuno se non a noi stessi e al nostro scarso senso critico verso mode e tendenze culturali.
Dedicare la Domenica al Signore vuol dire certamente partecipare alla messa, la nostra è una fede che va vissuta in una comunità credente. Ma vuol dire anche dedicare l’intera giornata a godere dei doni di Dio. Stando seduti tutti intorno alle stessa tavola, ad esempio, senza divorare in fretta le pietanze ma gustandole con gratitudine, come dono del Signore. Assaporando il piacere di stare coi nostri cari senza dover correre da una parte all’altra, giocando coi nostri figli, parlando con nostra moglie o nostro marito, coi nostri genitori, con gli amici, raccontandosi ed ascoltando gli altri raccontarsi, coltivando quelle relazioni che sono il sale che da’ sapore alla vita di ciascuno.
Abbiamo di fronte una sfida educativa, ma anche pastorale. Perché i tempi e i modi dell’attività nelle nostre parrocchie è ancora in gran parte modulata sui ritmi di lavoro di trent’anni fa, quando si smontava alle cinque e il sabato e la domenica erano liberi. Oggi che si è chiamati al lavoro anche di notte, e di domenica, dobbiamo forse riflettere su come di offrire a tutti un’esperienza di Chiesa-comunità.
Domenico Barbera
Direttore Ufficio Pastorale sociale e del lavoro