Siamo arrivati agli ultimi giorni di scuola e, come alla fine di ogni anno scolastico, sto valutando il mio lavoro di insegnante. Non mi riferisco alle relazioni che consegnerò obbligatoriamente alle segreterie delle scuole in cui ho l’incarico, ma ad una valutazione personale.
L’insegnamento richiede molta energia, tanta volontà e tantissimo coraggio. Bisogna essere sempre disponibili, sereni, gioiosi e “aperti al dialogo e alla realtà”. Come ci ha detto papa Francesco: «Educare è una esperienza importante, vuol dire avvicinare i giovani al buono, al vero, al bello». Noi insegnanti siamo consapevoli di questo?
Sappiamo essere comprensivi, dare fiducia? Sappiamo fare del sorriso la nostra carta d’identità per coinvolgere, incuriosire, “infiammare”?
Quante qualità dovrebbe avere un insegnante! Molte di queste caratteristiche si raggiungono con l’esperienza, altre con la volontà, altre ancora sono solamente dono di Dio. L’insegnamento, soprattutto per me che insegno religione, è un momento di grazia: ho la possibilità di donare ai più giovani
tutta la mia esperienza sintetizzata in piccole battute. Posso riassumere in un concetto quello che ho compreso dopo anni di lavoro personale; in un racconto dischiudere profonde verità di vita.
So che posso puntare in alto, fino a far “toccare il cielo” ai miei alunni; e toccare il cielo è far conoscere Dio e il suo Amore misericordioso.
Devo dire che anche gli alunni insegnano molto con la loro vivacità e la loro spontaneità, occorre però essere disponibili a mettersi in discussione, lasciarsi “usare”: in poche parole bisogna donarsi. Non si può insegnare senza amare: il lavoro, la scuola ma soprattutto loro, gli studenti. Certo è facile amare una classe dove tutti sono disponibili ed educati, più difficile è farlo dove ci sono gli indifferenti, i provocatori, i ribelli. La chiave per entrare in dialogo anche con questi ultimi, è sempre la stessa: “l’amore”. L’accoglienza, il dialogo e la fiducia operano miracoli, ma senza pretenderli e accettando anche le sconfitte. Questo è quindi il momento in cui, tirando le somme, vedo che cosa avrei potuto fare, dire, organizzare, preparare e scopro che mi è mancato il tempo, il coraggio o la forza. Poi penso agli alunni, ai loro sorrisi, alle loro storie, alle loro sofferenze, alle loro battute, e ringrazio il Signore per avermi chiamata a questa missione.
Quest’anno scolastico è trascorso velocemente, tante esperienze ho condiviso con colleghi e studenti: alcune formative altre giocose altre ancora tristi; tutte fanno parte della nostra crescita, del nostro percorso nella scuola e nella vita. Dedico un affettuoso abbraccio agli studenti impegnati nell’esame di maturità, a chi non si ritroverà gli esiti attesi e sperati, a chi potrà permettersi un lungo periodo di vacanza.
In questa domenica di Pentecoste, giunga a tutti gli operatori della scuola, l’augurio che lo Spirito Santo possa illuminare i nostri occhi ma soprattutto il nostro cuore per farci dialogare anche con chi parla una “lingua diversa” dalla nostra, con chi la pensa diversamente perché così dovrebbe essere la scuola: una palestra di vita, aperta al dialogo e al rispetto degli altri.
Anna Maria Catalani