«Continuate a darci i vostri insegnamentI: è fondamentale ascoltare la forza e la ricchezza del vostro cuore». Il vescovo Gianrico Ruzza ha salutato così gli oltre duecento giovani che giovedì scorso, 9 marzo, hanno affollato l’aula consiliare «Renato Pucci» del Comune di Civitavecchia per l’incontro «Emergenza educativa: i giovani cosa dicono?». L’iniziativa, promossa nell’ambito del quarto cantiere del cammino sinodale, è stata organizzata dagli insegnanti di religione ed ha visto protagonisti gli studenti dai 13 ai 19 anni.
È stato il sindaco di Civitavecchia Ernesto Tedesco ad aprire l’incontro «lieto di offrire ai giovani e alle loro esigenze l’aula dove vengono discusse questioni vitali per la città». Il primo cittadino ha evidenziato come «questi ragazzi hanno il grande merito di aver affrontato la pandemia, un momento che non avremmo mai immaginato, una situazione che non può non aver influito sulla loro psiche». Un periodo che «ha messo in discussione tutti i meccanismi delle loro vite» e che hanno affrontato «in maniera corretta e molte volte essendo da esempio per gli adulti».
Il convegno è stato l’evento finale di un percorso che, dallo scorso dicembre, ha promosso l’ascolto tra gli adolescenti: attraverso la rete dei gruppi ecclesiali, tra associazioni laiche e gli insegnanti di religione, la diocesi ha proposto un «sondaggio» con gli strumenti social, chiedendo «Aiutaci a conoscerti: cosa desideri dire agli adulti?». I ragazzi hanno risposto con 150 opere, individuali e collettive, tra canzoni rap, video, brani musicali, poesie e disegni.
A «leggere» le diverse forme artistiche è stato padre Paolo Benanti, teologo francescano del Terzo Ordine Regolare, docente di filosofia alla Pontificia Università Gregoriana, esperto di etica, bioetica ed etica delle tecnologie; un attento conoscitore del linguaggio giovanile e del mondo dei social.
Dai diversi contributi, ha spiegato, emergono tre dimensioni: una di confronto-scontro tra generazioni, una individualista e un’altra dialettico-empatica.
Nel primo caso, ha affermato Benanti, occorre capire cosa significa essere adulti. «La categoria dei giovani – ha detto – è nata quando, nel corso del boom economico, l’età dell’ingresso al mondo del lavoro è andata aumentando. Il mercato, le aziende che producevano abbigliamento e cultura, hanno capito che esisteva una generazione che continuava a studiare, che non faceva ancora delle scelte definitive e che, pur essendo più istruita dei genitori, aveva meno capacità di decidere». Da quella generazione, i «baby boomer», la società è passata alla «generazione X», quella pre-computer, ai «millenian», infine all’attuale «generazione Z», quella degli iperconnessi.
«Il problema – ha aggiunto – è che tutti continuano a sentirsi giovani perché alcuni non hanno il coraggio di definirsi adulti. Lo scontro nasce dall’incomprensione di diverse generazioni di giovani e non tra giovani e adulti».
Rispetto all’individualismo, padre Benanti ha posto l’accento sui social network. «Nel 2010, Steve Jobs ha presentato l’oggetto che sta rivoluzionando la nostra vita, mettendo già nel nome I-Phone, con il pronome davanti, quell’insito riferimento all’individualismo». I social sono diventati prima un elemento di unione e relazione, trasformandosi in seguito in strumenti di divisione. «Le azioni più importanti della nostra vita passano quotidianamente attraverso le App, limitando le relazioni interpersonali».
«Sindemia» è invece il termine coniato da Benanti per descrivere la crisi della cosiddetta dimensione dialettica-empatica. Un problema che sicuramente si è aggravato con la pandemia, con la guerra in Ucraina e la crisi economica che ne è seguita. «Si intravvedono ombre di qualcosa che non regge più» ha spiegato il religioso. «Una situazione che nel mondo digitale si trasforma in stato di conflitto permanente».
Alla relazione di Benanti è seguita la tavola rotonda che ha visto le testimonianze di alcuni studenti e gli interventi dei dirigenti scolastici. Laura Piroli, preside dell’Istituto «Cardarelli» di Tarquinia, citando alcuni filosofi classici, ha evidenziato che «i problemi intergenerazionali e le divergenze educative sono sempre esistite». Quello che sta avvenendo in questo tempi «in cui siamo sempre interconnessi» riguarda però «la mancata percezione dei propri limiti». «L’eccessiva velocità delle relazioni ci ha portato a non capire in che modo costruirci come persone».
Per Nicola Guzzone, preside dell’Istituto «Marconi» di Civitavecchia, «un discrimine è stata la pandemia: sono esplose le richieste di aiuto da parte dei ragazzi. Hanno maggior bisogno di essere ascoltati».
Nelle conclusioni, il vescovo Gianrico Ruzza ha elencato quelli che sono emersi come punti critici del mondo giovanile nell’ambito del percorso sinodale di ascolto che la Chiesa di Civitavecchia-Tarquinia ha intrapreso negli ultimi due anni: le dipendenza, la solitudine, le difficoltà economiche delle famiglie, le forme di bullismo, molti episodi di violenza e autolesionismo. «È chiaro – ha concluso – che la relazione famigliare sia un problema ma, rispetto al passato, dobbiamo constatare come anche gli attori dell’educazione non riescano più a parlare tra loro: si è rotta l’alleanza educativa»..