“I cristiani sono quel gruppo che si riunisce per celebrare il loro Dio con inni a cori alterni”: così Plinio il giovane definiva le prime comunità di discepoli di Cristo mettendone in risalto il canto quale elemento caratterizzante. Sant’Agostino, tre secoli dopo, affermava che “il cantare è proprio di chi ama e cantare bene è pregare due volte”.
Due riferimenti, tra i molti che si sono succeduti nella storia della Chiesa, in cui si afferma «l’importanza dell’arte liturgico-musicale come una vera questione di fede e non solo di gusto estetico».
A discutere e approfondire questo tema è stato monsignor Giuseppe Liberto, maestro emerito della Cappella Musicale Sistina, intervenuto nel convegno diocesano per gli operatori liturgico-pastorali che si è svolto sabato 8 febbraio nella Cattedrale di Civitavecchia.
“Dal Mistero ai ministeri” è stato il tema dell’incontro che ha visto riuniti oltre trecento partecipanti in rappresentanza di sei corali diocesane, dei musicisti, i lettori, gli accoliti e i ministri straordinari della comunione delle comunità parrocchiali. «Un metterci in ascolto – ha detto il vescovo Luigi Marrucci introducendo i lavori – per un nutrimento spirituale più che per apprendimento di nozioni, per essere a servizio di Dio e della Chiesa con la propria vita, “essere in Cristo” più che “fare nella comunità”».
Una relazione ricca e intensa quella di monsignor Liberto che ha ripercorso la storia del canto liturgico prima con i documenti dei Padri della Chiesa e successivamente con i documenti conciliari e post-conciliari.
«Se la celebrazione liturgica è un inno alla vita – ha spiegato il maestro – la musica entra nella celebrazione con autorevolezza, divenendone linguaggio artistico fondamentale, con un suo mittente, un suo ricevente e un codice ben preciso e non come semplice ornamento di creazione artistica».
La musica, quindi, non è la colonna sonora delle celebrazioni o un concerto di un gruppo parrocchiale ma, secondo il relatore, rappresenta «un’arte simbolica e ministeriale che esprime l’epifania del verbo incarnato perché rende visibile il mistero evocandolo».
Per monsignor Giuseppe Liberto, la musica-arte liturgica è vera e propria teologia estetica che esplicita il suo modus ministeriale in quattro servizi fondamentali. Anzitutto è al servizio della Parola di Dio, perché «la bellezza sonora traduce e interpreta la parola». La musica è poi al servizio dei riti «favorendo l’incontro tra il divino e l’umano». Il terzo servizio è a favore dei ministri della celebrazione «perché non è un momento concertistico ma un esercizio ministeriale di comunione ecclesiale». Infine, ha spiegato monsignor Liberto, la musica deve servire l’articolazione sonora della fase celebrativa dell’anno liturgico, perché «ogni fedele, al momento del canto, deve comprendere in quale fase della liturgia e del calendario liturgico si trova».
Solo un canto che sappia svolgere questi quattro fondamentali servizi ministeriali «sarà arte che unifica, armonia di comunione, sinfonia di concordia». Una «comunione » che si realizza nella celebrazione liturgica dove parole e gesti, ascolto e visione, profumi e sapori, ritmi e melodie, «sono realtà teandriche che armonizzano divinità e umanità».
Per questo, ha affermato il relatore, il passaggio del Mistero ai ministeri richiede di «compiere il salto di qualità dal sacro al santo: rendere più sacra la preghiera e più solenne la celebrazione». Un’arte, ha poi aggiunto, che si può esercitare solo con carisma «dono dello Spirito Santo», e competenza «migliorando cioè i doni e le capacità che ognuno riceve».
Durante il convegno si sono alternate le sei corali diocesane in canti composti da monsignor Liberto: le corali “Insieme”, “Ensemble Incantus” e “Sol diesis” di Civitavecchia; le corali “Giuseppe Verdi” e “Franca Pico” di Tarquinia; la corale “Giuseppe Verdi” di Allumiere.