«Usare la medicina della misericordia per andare incontro alle necessità odierne». È questo l’invito che papa Giovanni XXIII fece nel 1962, durante il discorso di apertura del Concilio Vaticano II. Era l’11 ottobre, giorno in cui, dopo la canonizzazione avvenuta lo scorso anno, nel calendario liturgico si ricorda il Papa Buono.
Sabato 11 ottobre, nella Chiesa di Civitavecchia–Tarquinia, la celebrazione è coincisa con la seconda giornata del Convegno diocesano in cui erano previsti i Laboratori di studio nelle Zone Pastorali. Più di 120 delegati si sono riuniti nella parrocchia “San Felice da Cantalice” (Cappuccini) a Civitavecchia, circa 40 quelli che si sono incontrati nella parrocchia “Maria SS.ma Stella del Mare” in Tarquinia Lido; suddivisi in quattro
ambiti, i partecipanti rappresentavano tutte le parrocchie e gli istituti religiosi.
Il vescovo Luigi Marrucci, aprendo i lavori a Civitavecchia, ha ricordato le parole di Giovanni XXIII e invitato i partecipanti alla «concretezza pastorale» con l’auspicio «che la misericordia prevalga sul giudizio».
«Dopo i lavori in plenaria – spiega don Federico Boccacci, vicario episcopale per la pastorale – ci siamo riuniti per pregare lo Spirito Santo ad aiutarci a leggere la nostra realtà ecclesiale. Dagli otto gruppi sono emerse proposte e suggerimenti concreti, in un confronto costruttivo». Per il vicario «il lavoro dei Laboratori è l’inizio di un percorso di condivisione che, dopo le relazioni degli animatori e gli approfondimenti del Consiglio pastorale, verrà recepito nelle indicazioni del Vescovo per il nuovo anno».
Diversi gli aspetti discussi nei quattro ambiti. Nel laboratorio “La Chiesa diocesana, «soggetto di evangelizzazione», e la conversione pastorale” si è messo l’accento sull’organizzazione pastorale della Diocesi e su come questa sia percepita dalle comunità parrocchiali. «La comunicazione – spiega Piero Gufi, animatore del gruppo di Tarquinia – è risultata un elemento essenziale. I delegati hanno chiesto di essere maggiormente informati sui lavori del Consiglio pastorale e dei vari uffici diocesani».
Promuovere la costituzione dei consigli pastorali diocesani e favorire il loro coordinamento è la proposta emersa nel laboratorio “Le parrocchie tra pastorale ordinaria e pastorale in chiave missionaria”. «Dobbiamo incontrare gli “ultimi” andandoli a cercare e non aspettandoli sul sagrato delle nostre chiese» sintetizza Gianluca Di Francesco, che ha guidato uno dei gruppi. «Tutte le proposte dei delegati parrocchiali chiedono alle comunità di essere da stimolo alla domanda di incontro con Dio, favorendo luoghi di partecipazione sull’esempio di ciò che è stato fatto per la Festa delle famiglie».
Anche Felice Mari, che ha coordinato uno dei laboratori “Operatori pastorali, discepoli – missionari a servizio del regno nella Chiesa” ha messo in evidenza «il desiderio di osare, di uscire fuori, per incontrare soprattutto le persone che si trovano in difficoltà». Tra le aspettative degli operatori pastorali anche quella di «una maggiore formazione spirituale e specifica, con momenti di incontro per lo scambio di esperienze».
Una pastorale della famiglia in uscita è quella che deve vedere le comunità parrocchiali affianco alle famiglie nei momenti in cui sono fragili. Nel laboratorio “La famiglia come «soggetto» nella pastorale e protagonista della parrocchia” è stato apprezzato l’impegno della nostra Diocesi verso le coppie ferite o divise. «La preparazione dei giovani al sacramento del matrimonio deve avvenire in un contesto di pastorale vocazionale – spiega l’animatore Bruno Alessi – che accompagni i fidanzati in modo naturale». Per Alessi, «la fragilità delle famiglie emerge anche nei momenti di lutto, quando viene a mancare uno dei propri cari e la comunità è chiamata ad essere prossima a chi soffre».
A conclusione di una settimana intensa e partecipata, in cui i lavori del Convegno si sono incontrati anche con il Sinodo straordinari sulla famiglie, «esempio di una Chiesa che pensa, e pensa insieme» ha commentato don Federico Boccacci, «i Laboratori – combinando insieme esperienze di ordinaria vita ecclesiale e di ordinaria umanità, impastando insieme le nostre diverse risorse e le nostre fragilità – hanno prodotto nuova linfa per le nostre comunità».