Un incontro franco e intenso sulle prospettive pastorali della diocesi ha caratterizzato l’ultimo appuntamento di formazione del clero. Giovedì scorso, 29 luglio, nell’ambito della Settimana di fraternità che ha visto i sacerdoti ospiti della Casa Regina Pacis di Tarquinia Lido, è stato il vescovo Gianrico Ruzza a concludere il percorso. «È un anno esatto che il mio cuore è con voi e la mia vita è in questa Chiesa» ha esordito il presule.
Nella prima parte dell’incontro, monsignor Ruzza ha commentato le relazioni inviate dai parroci sulla ripresa delle attività nel post-pandemia. Emergono timori e preoccupazioni: il calo delle presenze nelle celebrazioni; la diminuzione dei battesimi e delle confessioni dovuto anch’esso alla paura del virus; difficoltà nel visitare i malati; maggiori problemi a coinvolgere i ragazzi nella ripresa delle attività. «Una situazione – ha detto il presule – alla quale abbiamo reagito con molte iniziative e con spirito positivo, ma che comunque deve interrogarci». «Se non comprendiamo il nostro tempo – ha sottolineato – falliamo la nostra missione. Dobbiamo lasciare qualcosa, come ci invita a fare il Papa, per poter ripensare il nostro essere pastori».
Per Ruzza il Covid-19 ha palesato una situazione che già esisteva accelerando quello che è un cambiamento di epoca e mettendo in discussione l’impianto pastorale. «La normalità che cerchiamo – ha spiegato – non sarà un ritorno a come era prima, pensare questo è illusione».
Per il vescovo, la nostra Chiesa vive un’esperienza «missionaria» nella quale l’annuncio «si scontra con un pregiudizio culturale che impedisce di proporre la fede». Questo richiede un ripensamento, con una liturgia «che deve essere attrattiva e incarnare il vissuto delle persone» e un annuncio «capace di superare l’individualismo».
Sono molte le sfide che richiedono un ripensamento e nuove proposte spirituali: l’uso indiscriminato delle risorse, l’intelligenza artificiale, l’eccessiva comunicazione – soprattutto sui social – che porta a una diminuzione di relazioni, le biotecnologie che si stanno indirizzando verso un transumanesimo, la frammentazione sociale, il ruolo della famiglia. «Dobbiamo pensare a una pastorale di prossimità – ha detto – che sia vicina alle situazioni». «Il modello della parrocchia tradizionale, al centro del territorio e riferimento per le famiglie e le comunità, non tornerà più». Un «analfabetismo spirituale» che intimorisce molti sacerdoti: per questo l’indicazione è di responsabilizzare il carisma laicale, collaborare con le comunità, valorizzare la ricchezza dei movimenti ecclesiali. «L’essenziale – ha sottolineano monsignor Ruzza – è entrare in tutte le case per parlare di Gesù; puntare sulle relazioni personali per portare la Parola del Signore».
L’invito ai presbiteri è quello di curare la comunione, «con l’attenzione alle relazioni», e la diaconia «che non vuol dire esercitare un ruolo ma mettersi al servizio». «Siamo un po’ frenati – ha concluso monsignor Ruzza – perché non guadiamo la realtà con occhi sinceri. Siamo intrappolati nel “chiacchiericcio” e molte opposizioni pregiudiziali derivano da ferite non rimarginate da tanto tempo. È il momento di abbassare questi muri e cambiare le nostre mentalità».