… con lo sguardo fisso sul volto di Gesù
Mi impegno a on allontanarmi dal titolo che mi è stato affidato perché coglie le istanze che interpellano la nostra Chiesa: quella che è in Italia, quella che nel Novembre scorso si è ritrovata a Convegno a Firenze; quella Chiesa che il 10 Novembre 2015, in apertura del Convegno si è sentita rivolgere da papa Francesco parole di grande incoraggiamento e apprezzamento, ma che si è sentita anche chiamata a rinnovarsi per essere più credibile.
Ho scelto di esplicitare il titolo affidatomi e di svolgere il compito affidatomi dal vescovo Luigi facendo riferimento proprio al mandato consegnatoci da papa Francesco a Firenze. E comincio con una osservazione riguardante la struttura del Discorso ai Delegai al Convegno. Un discorso esemplare non solo per i contenuti chiari ed immediati ma anche per la sua struttura. A chi lo ha avuto tra le mani – e dobbiamo averlo tutti! – penso non sia sfuggita, come dicevo, la struttura di quella che possiamo considerare una vera e propria Lettera enciclica alla Chiesa che è in Italia. La struttura del discorso è tale da aiutarci a recuperare – qualora ce ne fosse la necessità – la strada, l’unica strada che la Chiesa è chiamata a percorrere se vuole che la sua sia la vita della comunità dei battezzati. É vero! A Firenze papa Francesco ha toccato aspetti molto concreti della vita della Chiesa. Ci ha detto su quali aspetti bisogna agire perché la nostra sia una “pastorale rinnovata”. Prima però di fermarsi sugli aspetti concreti e sulle cose da fare ci ha invitato a fissare lo sguardo su Gesù perché, come si legge al n. 16 della Evangelligaudium «Gesù Cristo può rompere gli schemi noiosi nei quali pretendiamo di imprigionarlo e ci sorprende con la sua costante creatività divina. Ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale. In realtà, ogni autentica azione evangelizzatrice è sempre “nuova”» (E g, 11).
È questo inizio – fatto di preghiera e di discernimento comunitario continui – che ci mettono al riparo dell’essere una qualsiasi ONG, come ci ammonisce il Papa. È questo inizio che ci permette di incamminarci con piede giusto e di restare sulla buona strada.
È a questo inizio che veniamo continuamente richiamati, non solo da papa Francesco.
Nella Novo millennio ineunte, Giovanni Paolo II metteva in guardia da alcuni seri rischi, a partire dai quali possono trovare origine altrettanti equivoci. Al numero 15 della Lettera apostolica, si legge: «Il nostro è tempo di continuo movimento che giunge spesso fino all’agitazione, col facile rischio del “fare per fare”. La strada per resistere a questa tentazione è quella di “essere” prima che di “fare”. Ricordiamo a questo proposito il rimprovero di Gesù a Marta: “Tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno” (Lc 10,41-42)». Pertanto – concludeva il Papa – il «mistero di Cristo» deve essere sempre «fondamento assoluto di ogni nostra azione pastorale». Poco oltre, al n. 29, troviamo un’affermazione che ritengo ancora poco frequentata se non disattesa nell’azione pastorale ordinaria e che, anche se con parole diverse, costituisce il leitmotiv degli interventi di papa Francesco: «Non ci seduce certo la prospettiva ingenua che, di fronte alle grandi sfide del nostro tempo, possa esserci una formula magica. No, non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi!».
È, per rimanere ai nostri giorni, quello che ci ha chiesto papa Francesco a Firenze, aprendo il V Convegno ecclesiale nazionale: « È la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche di quella frammentata per le fatiche della vita, o segnata dal peccato. Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di Cristo. Il volto è l’immagine della sua trascendenza. È il misericordiaevultus. Lasciamoci guardare da Lui. Gesù è il nostro umanesimo. Facciamoci inquietare sempre dalla sua domanda: «Voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15).
Guardando il suo volto che cosa vediamo? Innanzitutto il volto di un Dio «svuotato», di un Dio che ha assunto la condizione di servo, umiliato e obbediente fino alla morte (cfrFil 2,7). Il volto di Gesù è simile a quello di tanti nostri fratelli umiliati, resi schiavi, svuotati. Dio ha assunto il loro volto. E quel volto ci guarda».
Fissare lo sguardo su Cristo, contemplare e avere in noi i suoi stessi sentimenti non è un di più… tanto poi bisogna darsi da fare e tuffarsi nella storia!
Nessuno può negare la concretezza e l’immediatezza del discorso di papa Francesco a Firenze; eppure quella concretezza e quella immediatezza sono apparse a tutti il frutto dello sguardo fisso su Gesù. È dall’incontro con Lui che noi scopriamo quanto di bello c’è in noi e nella nostra comunità, ma anche cosa ci manca per essere la “sua” Chiesa e non l’insieme di persone che solo vagamente rimandano a Lui e al suo Vangelo. È solo l’incontro con Lui che provoca e spinge con passione alla missione che papa Francesco, con riferimenti continui al Vangelo, continua a consegnarci. Ripeto, lo ha fatto nella Evangeliigaudium, lo ha fatto nel già citato discorso di Firenze, lo fa nelle sue omelie e catechesi.
2. La Evangeliigaudium e il sogno di Francesco per una Chiesa che si rinnova
Rivolgendosi alla Chiesa italiana, convenuta a Firenze, papa Francesco ha affidato alla meditazione di ogni comunità, parrocchia e istituzione, per i prossimi anni, l’Esortazione apostolica, EvangeliiGaudium (Eg), «per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni». In quel testo, del novembre 2013, egli descrive la Chiesa che vorrebbe, quella che immagina più conforme al progetto di Dio e alla sua volontà. Eg è uno scritto che proviene direttamente dal suo cuore di pastore, e nel quale raccoglie le meditazioni e le esperienze di una vita. Nella Eg il Papa comunica lo spirito che lo anima e con il quale guida la Chiesa. Una Chiesa che vuole vedere più giovane e aperta, più umile e gioiosa, più inserita nel mondo e protesa alla missione. Papa Francesco vuole una Chiesa più conforme alle istanze espresse dal Concilio Vaticano II, che cita più volte lungo l’Esortazione, quale fonte di continua ispirazione e riferimento ideale per la Chiesa del nostro tempo.
Papa Francesco vuole una Chiesa che cammini con umiltà e fiducia, per adempiere in pienezza, senza macchie né resistenze, la sua missione di portare il Vangelo e testimoniarlo a ogni essere umano. Per far questo, essa deve essere sempre capace di conversione e di rinnovamento, senza i quali né i singoli né le comunità possono rispondere adeguatamente alla chiamata di Dio, poiché «senza vita nuova e autentico spirito evangelico (…), qualsiasi nuova struttura si corrompe in poco tempo».
Per questo, la Chiesa deve mettere in atto processi di continua verifica del suo operato e mantenersi in un atteggiamento di umiltà, che le permetta di fare autocritica, senza fossilizzarsi su quanto già è stato fatto. La capacità di rinnovarsi deve riguardare le strutture, i ministeri, le modalità di azione e i linguaggi, specie in questo tempo di enormi e rapide trasformazioni.
Provo a dire, sulla base della Eg, in che direzione e con quali modalità devono svilupparsi concretamente i processi di riforma auspicati dal Santo Padre e che contribuiscono a riconsegnarci una Chiesa bella, materna, misericordiosa; insomma evangelica.
3. Una Chiesa missionaria
La prima e più importante modalità, attraverso la quale la Chiesa costantemente si rinnova e si mantiene giovane, è la tensione missionaria verso ogni uomo e ogni realtà che egli abita. «Ogni autentica azione evangelizzatrice – infatti – è sempre nuova», e ringiovanisce la Chiesa, come per primo Cristo è «sempre giovane e fonte costante di novità». La Chiesa descritta nella EvangeliiGaudiumè una «discepola missionaria», sempre animata dal desiderio di portare a tutti il lieto messaggio, dal quale per prima è stata raggiunta. Ora, la Chiesa è missionaria da sempre e per sua natura, in quanto è nata dal mandato di ammaestrare tutte le nazioni e battezzarle nel nome della Trinità (Mt 28,19). Ma questo carattere nativo deve essere concretamente attuato e sempre rivitalizzato.
A tal fine, la Chiesa deve mantenersi aperta, uscire dai luoghi dove solitamente svolge le sue attività, per andare verso le periferie, dove stanno le persone più lontane dalla sua fede e dai suoi ideali. Non vi è luogo che il Signore non voglia raggiungere, e nel quale la Chiesa e i credenti non debbano immergersi con passione, e con il coraggio che deriva loro dallo Spirito di Dio. Quello di annunciare il Vangelo a tutti, senza esclusione di alcuno, è un dovere proprio di ogni cristiano, che si fonda sul diritto di ogni essere umano di riceverlo. Chi è stato raggiunto dal lieto messaggio della salvezza, infatti, non può gestirlo come una prerogativa o un dono individuale, ma da comunicare, per non perderlo a sua volta. In questo senso, sapersi mandati verso gli altri a trasmettere la grazia del Vangelo, è non solo un compito del credente, ma una grazia che egli stesso ha ricevuto, in quanto gli permette di vivere più pienamente il dono dal quale è destinatario. «Quando la Chiesa chiama all’impegno evangelizzatore – allora – non fa altro che indicare ai cristiani il vero dinamismo della realizzazione personale».
4. Una Chiesa povera per i poveri
Verso chi e verso dove va indirizzata l’azione missionaria della Chiesa? La manda in primo luogo verso coloro che per il Signore sono i primi, cioè i poveri. Essa, sulla scia delle parole e dei gesti di Gesù, che riflettono il pensiero e il cuore del Padre, la Chiesa ha sempre affermato il primato dei poveri e la sua opzione preferenziale per i più deboli e bisognosi. Per questa ragione, «per la Chiesa, l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica», che fa sì che «ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati a essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri», essi che sono immagine di Cristo, nei quali egli stesso si è identificato.
La sollecitudine per i poveri, che deve costituire una finalità primaria di ogni diocesi e di ogni comunità cristiana, è luogo privilegiato di conversione e rinnovamento, oltre che di testimonianza evangelica. «Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca – osserva Francesco – per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze». Ogni credente e ogni formazione ecclesiale dovranno, allora, verificarsi su questo punto, in modo da rinnovare il proprio slancio missionario e la propria solidarietà con i poveri, gli ammalati, i carcerati, le persone sole e abbandonate. «Così facendo, la comunità evangelizzatrice si mette, mediante opere e gesti, nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione, se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo».
5. Una Chiesa fedele alla storia
Uscendo in missione, la Chiesa non è chiamata ad attraversare il mondo in cerca di proseliti, ma ad abitarlo, facendosi solidale con le persone e la loro storia. Essa, attraverso i credenti, deve immergersi nelle pieghe della storia, condividere le preoccupazioni che affliggono la società e porsi in cerca delle soluzioni possibili. Lo farà con uno stile di dialogo e di collaborazione, e portando il suo contributo specifico, legato alla sua particolare e più piena visione dell’essere umano, e ai principi che attinge dalla Dottrina Sociale della Chiesa, alla quale Francesco raccomanda di fare costante riferimento.
Anche questo aspetto dell’azione della Chiesa è espressione della sua attività missionaria. Infatti, «evangelizziamo anche quando cerchiamo di affrontare le diverse sfide che possano presentarsi» : le povertà di ogni tipo, gli attacchi alla libertà religiosa, la diffusione di una cultura dell’effimero, che impoveriscono le persone e rendono più difficile vivere secondo il Vangelo e le sue logiche, e quindi trovare la felicità. La fedeltà alla storia, con l’analisi dei problemi e l’attiva collaborazione con gli altri, assicura alla Chiesa di non discostarsi dai poveri e di tenere fede alla dinamica dell’incarnazione, che l’ha costituita.
6. Una Chiesa ministeriale
Questo stile di dialogo e confronto con il mondo e le persone, sarà possibile a partire da un allenamento costante alla sinodalità, a partire dalla vita ecclesiale e pastorale. Fine dell’azione pastorale, infatti, non è la realizzazione di iniziative o servizi, in funzione dei quali reperire collaboratori, ma quello di educare le persone secondo il Vangelo, facendo emergere il meglio da ognuno, e mettendo ognuno in grado di essere parte attiva, impiegando i suoi talenti. Tutti i credenti, sottolinea il papa con forza, avendo ricevuto lo Spirito di Dio, possiedono «un istinto della fede che li aiuta a discernere ciò che viene realmente da Dio», e quindi «una certa connaturalità con le realtà divine e una saggezza, che permette loro di coglierle intuitivamente». Questo elemento è da tenere fortemente presente sul piano pastorale.
La partecipazione alla missione e all’attività della Chiesa, che devono essere quanto più possibile condivise, vale in particolare per le famiglie, la cui soggettività e partecipazione all’evangelizzazione il papa e il Sinodo hanno più volte richiamato, e vale anche per i poveri, che dobbiamo servire e che siamo chiamati a coinvolgere, in modo che la mano che tendiamo loro non serva solo a porgere un aiuto materiale, ma a stringere un legame, a chiedere un punto di vista e un contributo personale, secondo la misura delle capacità di ognuno. Solo accogliendo questa sfida, sarà veramente messa a frutto la pluralità dei doni, che lo Spirito semina con abbondanza, e dove vuole.
7. Una Chiesa gioiosa
Una Chiesa che vive in una continua tensione missionaria, per soccorrere e salvare tutti i poveri, e così rinnovare se stessa nella fedeltà al Signore e alla storia, vive della gioia del Vangelo, e viene liberata «dalla tristezza, dal vuoto interiore e dall’isolamento», che tanto spesso affliggono gli uomini di oggi. «Il grande rischio del mondo attuale – osserva Francesco – con la sua molteplice e opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata». Al contrario, il cuore aperto del credente, che nell’impegno a favore del prossimo e del mondo dimentica se stesso, gli fa sperimentare, quale dono inatteso e gratuito, la beatitudine di chi riceve la vita, avendola donata. «Questa gioia è un segno che il Vangelo è stato annunciato e sta dando frutto. Ma ha sempre la dinamica dell’esodo e del dono, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo, sempre oltre».
8. La misericordia come architrave della Chiesa
Come abbiamo visto, sono vari gli aspetti del rinnovamento che Francesco sogna per la Chiesa, e diversi sono i processi e le modalità descritte nella EvangeliiGaudium. Nessuno di essi è esaustivo, ma ognuno richiama immediatamente gli altri e si integra con essi. È simile a quanto avviene per le beatitudini, che tracciano ognuno la faccia di un diamante e sono fra loro complementari, così che i poveri in spirito non possono che essere anche puri di cuore, e i misericordiosi anche miti e operatori di pace. Tutte queste facce, però, vanno a comporre il diamante, che è l’amore, come le virtù concorrono alla carità, che ne è la sintesi e la madre. L’amore, allora, è la cifra sintetica della Chiesa che Francesco vuole edificare. Una Chiesa che sa essere misericordiosa avrà per forza imparato a servire i poveri, a essere fedele alla storia, a rinnovarsi e a essere umile, a gioire dei doni del Signore. L’amore è la pienezza, della Legge e della vita cristiana, delle relazioni sociali e di quelle interpersonali, della vita trinitaria e di quella di ognuno di noi, che dello splendore della Trinità partecipiamo.
L’amore è la verità del nostro essere uomini, è l’immagine di Dio, che è Amore, impressa in noi, è la meta del faticoso procedere della storia. Tutto ciò che ci insegna ad amare contribuisce quindi a renderci più uomini e più cristiani, mentre ciò che ce ne allontana non può essere giudicato buono che da un punto di vista terreno e materiale. Ben vengano allora le prove e le umiliazioni, purché le accogliamo come motivi di crescita; ben vengano gli insuccessi, personali ed ecclesiali, se ci insegnano a essere più umili e miti; ben vengano anche i peccati – a patto che non siano maliziosamente programmati – come occasione del perdono e di una grazia sovrabbondante.
La nostra riflessione critica sulla fede (teologia), come la stessa nostra prassi, devono rimettere al centro l’amore. L’amore da senso alla vita dell’uomo ed è segno concreto di partecipazione alla vita divina; è in esso che la Chiesa traduce in prassi concreta la teologia e gli orientamenti pastorali, che devono avere nella misericordia il suo centro.
Tutte le strutture della Chiesa sono dunque chiamate a veicolare la carità, quale linfa che ci lega a Dio e della quale la Chiesa vive, e tutte le iniziative pastorali ne siano un riflesso, sostenute da relazioni improntante alla stima reciproca e al perdono. Anche noi dobbiamo tornare a sognare, insieme a Francesco, una Chiesa bella, viva, evangelica e non solo rituale. Insomma, una “Chiesa in uscita” non solo verso ogni periferia geografica ed esistenziale, ma di uscire, come Chiesa dalla retorica, dai luoghi comuni e dal politicamente corretto; di annunciare che l’uomo non è solo, ma è oggetto di un disegno di grazia; di abitare il nostro mondo, assumendone le sfide; di educare i fratelli a vivere secondo la logica del Vangelo; di trasfigurare le relazioni e gli ambienti di vita mediante la pratica della misericordia, che sola – ci insegna questo Anno santo – dà senso e pienezza alla vita umana.
Ho scelto di esplicitare il titolo affidatomi e di svolgere il compito affidatomi dal vescovo Luigi facendo riferimento proprio al mandato consegnatoci da papa Francesco a Firenze. E comincio con una osservazione riguardante la struttura del Discorso ai Delegai al Convegno. Un discorso esemplare non solo per i contenuti chiari ed immediati ma anche per la sua struttura. A chi lo ha avuto tra le mani – e dobbiamo averlo tutti! – penso non sia sfuggita, come dicevo, la struttura di quella che possiamo considerare una vera e propria Lettera enciclica alla Chiesa che è in Italia. La struttura del discorso è tale da aiutarci a recuperare – qualora ce ne fosse la necessità – la strada, l’unica strada che la Chiesa è chiamata a percorrere se vuole che la sua sia la vita della comunità dei battezzati. É vero! A Firenze papa Francesco ha toccato aspetti molto concreti della vita della Chiesa. Ci ha detto su quali aspetti bisogna agire perché la nostra sia una “pastorale rinnovata”. Prima però di fermarsi sugli aspetti concreti e sulle cose da fare ci ha invitato a fissare lo sguardo su Gesù perché, come si legge al n. 16 della Evangelligaudium «Gesù Cristo può rompere gli schemi noiosi nei quali pretendiamo di imprigionarlo e ci sorprende con la sua costante creatività divina. Ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale. In realtà, ogni autentica azione evangelizzatrice è sempre “nuova”» (E g, 11).
È questo inizio – fatto di preghiera e di discernimento comunitario continui – che ci mettono al riparo dell’essere una qualsiasi ONG, come ci ammonisce il Papa. È questo inizio che ci permette di incamminarci con piede giusto e di restare sulla buona strada.
È a questo inizio che veniamo continuamente richiamati, non solo da papa Francesco.
Nella Novo millennio ineunte, Giovanni Paolo II metteva in guardia da alcuni seri rischi, a partire dai quali possono trovare origine altrettanti equivoci. Al numero 15 della Lettera apostolica, si legge: «Il nostro è tempo di continuo movimento che giunge spesso fino all’agitazione, col facile rischio del “fare per fare”. La strada per resistere a questa tentazione è quella di “essere” prima che di “fare”. Ricordiamo a questo proposito il rimprovero di Gesù a Marta: “Tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno” (Lc 10,41-42)». Pertanto – concludeva il Papa – il «mistero di Cristo» deve essere sempre «fondamento assoluto di ogni nostra azione pastorale». Poco oltre, al n. 29, troviamo un’affermazione che ritengo ancora poco frequentata se non disattesa nell’azione pastorale ordinaria e che, anche se con parole diverse, costituisce il leitmotiv degli interventi di papa Francesco: «Non ci seduce certo la prospettiva ingenua che, di fronte alle grandi sfide del nostro tempo, possa esserci una formula magica. No, non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi!».
È, per rimanere ai nostri giorni, quello che ci ha chiesto papa Francesco a Firenze, aprendo il V Convegno ecclesiale nazionale: « È la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche di quella frammentata per le fatiche della vita, o segnata dal peccato. Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di Cristo. Il volto è l’immagine della sua trascendenza. È il misericordiaevultus. Lasciamoci guardare da Lui. Gesù è il nostro umanesimo. Facciamoci inquietare sempre dalla sua domanda: «Voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15).
Guardando il suo volto che cosa vediamo? Innanzitutto il volto di un Dio «svuotato», di un Dio che ha assunto la condizione di servo, umiliato e obbediente fino alla morte (cfrFil 2,7). Il volto di Gesù è simile a quello di tanti nostri fratelli umiliati, resi schiavi, svuotati. Dio ha assunto il loro volto. E quel volto ci guarda».
Fissare lo sguardo su Cristo, contemplare e avere in noi i suoi stessi sentimenti non è un di più… tanto poi bisogna darsi da fare e tuffarsi nella storia!
Nessuno può negare la concretezza e l’immediatezza del discorso di papa Francesco a Firenze; eppure quella concretezza e quella immediatezza sono apparse a tutti il frutto dello sguardo fisso su Gesù. È dall’incontro con Lui che noi scopriamo quanto di bello c’è in noi e nella nostra comunità, ma anche cosa ci manca per essere la “sua” Chiesa e non l’insieme di persone che solo vagamente rimandano a Lui e al suo Vangelo. È solo l’incontro con Lui che provoca e spinge con passione alla missione che papa Francesco, con riferimenti continui al Vangelo, continua a consegnarci. Ripeto, lo ha fatto nella Evangeliigaudium, lo ha fatto nel già citato discorso di Firenze, lo fa nelle sue omelie e catechesi.
2. La Evangeliigaudium e il sogno di Francesco per una Chiesa che si rinnova
Rivolgendosi alla Chiesa italiana, convenuta a Firenze, papa Francesco ha affidato alla meditazione di ogni comunità, parrocchia e istituzione, per i prossimi anni, l’Esortazione apostolica, EvangeliiGaudium (Eg), «per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni». In quel testo, del novembre 2013, egli descrive la Chiesa che vorrebbe, quella che immagina più conforme al progetto di Dio e alla sua volontà. Eg è uno scritto che proviene direttamente dal suo cuore di pastore, e nel quale raccoglie le meditazioni e le esperienze di una vita. Nella Eg il Papa comunica lo spirito che lo anima e con il quale guida la Chiesa. Una Chiesa che vuole vedere più giovane e aperta, più umile e gioiosa, più inserita nel mondo e protesa alla missione. Papa Francesco vuole una Chiesa più conforme alle istanze espresse dal Concilio Vaticano II, che cita più volte lungo l’Esortazione, quale fonte di continua ispirazione e riferimento ideale per la Chiesa del nostro tempo.
Papa Francesco vuole una Chiesa che cammini con umiltà e fiducia, per adempiere in pienezza, senza macchie né resistenze, la sua missione di portare il Vangelo e testimoniarlo a ogni essere umano. Per far questo, essa deve essere sempre capace di conversione e di rinnovamento, senza i quali né i singoli né le comunità possono rispondere adeguatamente alla chiamata di Dio, poiché «senza vita nuova e autentico spirito evangelico (…), qualsiasi nuova struttura si corrompe in poco tempo».
Per questo, la Chiesa deve mettere in atto processi di continua verifica del suo operato e mantenersi in un atteggiamento di umiltà, che le permetta di fare autocritica, senza fossilizzarsi su quanto già è stato fatto. La capacità di rinnovarsi deve riguardare le strutture, i ministeri, le modalità di azione e i linguaggi, specie in questo tempo di enormi e rapide trasformazioni.
Provo a dire, sulla base della Eg, in che direzione e con quali modalità devono svilupparsi concretamente i processi di riforma auspicati dal Santo Padre e che contribuiscono a riconsegnarci una Chiesa bella, materna, misericordiosa; insomma evangelica.
3. Una Chiesa missionaria
La prima e più importante modalità, attraverso la quale la Chiesa costantemente si rinnova e si mantiene giovane, è la tensione missionaria verso ogni uomo e ogni realtà che egli abita. «Ogni autentica azione evangelizzatrice – infatti – è sempre nuova», e ringiovanisce la Chiesa, come per primo Cristo è «sempre giovane e fonte costante di novità». La Chiesa descritta nella EvangeliiGaudiumè una «discepola missionaria», sempre animata dal desiderio di portare a tutti il lieto messaggio, dal quale per prima è stata raggiunta. Ora, la Chiesa è missionaria da sempre e per sua natura, in quanto è nata dal mandato di ammaestrare tutte le nazioni e battezzarle nel nome della Trinità (Mt 28,19). Ma questo carattere nativo deve essere concretamente attuato e sempre rivitalizzato.
A tal fine, la Chiesa deve mantenersi aperta, uscire dai luoghi dove solitamente svolge le sue attività, per andare verso le periferie, dove stanno le persone più lontane dalla sua fede e dai suoi ideali. Non vi è luogo che il Signore non voglia raggiungere, e nel quale la Chiesa e i credenti non debbano immergersi con passione, e con il coraggio che deriva loro dallo Spirito di Dio. Quello di annunciare il Vangelo a tutti, senza esclusione di alcuno, è un dovere proprio di ogni cristiano, che si fonda sul diritto di ogni essere umano di riceverlo. Chi è stato raggiunto dal lieto messaggio della salvezza, infatti, non può gestirlo come una prerogativa o un dono individuale, ma da comunicare, per non perderlo a sua volta. In questo senso, sapersi mandati verso gli altri a trasmettere la grazia del Vangelo, è non solo un compito del credente, ma una grazia che egli stesso ha ricevuto, in quanto gli permette di vivere più pienamente il dono dal quale è destinatario. «Quando la Chiesa chiama all’impegno evangelizzatore – allora – non fa altro che indicare ai cristiani il vero dinamismo della realizzazione personale».
4. Una Chiesa povera per i poveri
Verso chi e verso dove va indirizzata l’azione missionaria della Chiesa? La manda in primo luogo verso coloro che per il Signore sono i primi, cioè i poveri. Essa, sulla scia delle parole e dei gesti di Gesù, che riflettono il pensiero e il cuore del Padre, la Chiesa ha sempre affermato il primato dei poveri e la sua opzione preferenziale per i più deboli e bisognosi. Per questa ragione, «per la Chiesa, l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica», che fa sì che «ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati a essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri», essi che sono immagine di Cristo, nei quali egli stesso si è identificato.
La sollecitudine per i poveri, che deve costituire una finalità primaria di ogni diocesi e di ogni comunità cristiana, è luogo privilegiato di conversione e rinnovamento, oltre che di testimonianza evangelica. «Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca – osserva Francesco – per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze». Ogni credente e ogni formazione ecclesiale dovranno, allora, verificarsi su questo punto, in modo da rinnovare il proprio slancio missionario e la propria solidarietà con i poveri, gli ammalati, i carcerati, le persone sole e abbandonate. «Così facendo, la comunità evangelizzatrice si mette, mediante opere e gesti, nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione, se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo».
5. Una Chiesa fedele alla storia
Uscendo in missione, la Chiesa non è chiamata ad attraversare il mondo in cerca di proseliti, ma ad abitarlo, facendosi solidale con le persone e la loro storia. Essa, attraverso i credenti, deve immergersi nelle pieghe della storia, condividere le preoccupazioni che affliggono la società e porsi in cerca delle soluzioni possibili. Lo farà con uno stile di dialogo e di collaborazione, e portando il suo contributo specifico, legato alla sua particolare e più piena visione dell’essere umano, e ai principi che attinge dalla Dottrina Sociale della Chiesa, alla quale Francesco raccomanda di fare costante riferimento.
Anche questo aspetto dell’azione della Chiesa è espressione della sua attività missionaria. Infatti, «evangelizziamo anche quando cerchiamo di affrontare le diverse sfide che possano presentarsi» : le povertà di ogni tipo, gli attacchi alla libertà religiosa, la diffusione di una cultura dell’effimero, che impoveriscono le persone e rendono più difficile vivere secondo il Vangelo e le sue logiche, e quindi trovare la felicità. La fedeltà alla storia, con l’analisi dei problemi e l’attiva collaborazione con gli altri, assicura alla Chiesa di non discostarsi dai poveri e di tenere fede alla dinamica dell’incarnazione, che l’ha costituita.
6. Una Chiesa ministeriale
Questo stile di dialogo e confronto con il mondo e le persone, sarà possibile a partire da un allenamento costante alla sinodalità, a partire dalla vita ecclesiale e pastorale. Fine dell’azione pastorale, infatti, non è la realizzazione di iniziative o servizi, in funzione dei quali reperire collaboratori, ma quello di educare le persone secondo il Vangelo, facendo emergere il meglio da ognuno, e mettendo ognuno in grado di essere parte attiva, impiegando i suoi talenti. Tutti i credenti, sottolinea il papa con forza, avendo ricevuto lo Spirito di Dio, possiedono «un istinto della fede che li aiuta a discernere ciò che viene realmente da Dio», e quindi «una certa connaturalità con le realtà divine e una saggezza, che permette loro di coglierle intuitivamente». Questo elemento è da tenere fortemente presente sul piano pastorale.
La partecipazione alla missione e all’attività della Chiesa, che devono essere quanto più possibile condivise, vale in particolare per le famiglie, la cui soggettività e partecipazione all’evangelizzazione il papa e il Sinodo hanno più volte richiamato, e vale anche per i poveri, che dobbiamo servire e che siamo chiamati a coinvolgere, in modo che la mano che tendiamo loro non serva solo a porgere un aiuto materiale, ma a stringere un legame, a chiedere un punto di vista e un contributo personale, secondo la misura delle capacità di ognuno. Solo accogliendo questa sfida, sarà veramente messa a frutto la pluralità dei doni, che lo Spirito semina con abbondanza, e dove vuole.
7. Una Chiesa gioiosa
Una Chiesa che vive in una continua tensione missionaria, per soccorrere e salvare tutti i poveri, e così rinnovare se stessa nella fedeltà al Signore e alla storia, vive della gioia del Vangelo, e viene liberata «dalla tristezza, dal vuoto interiore e dall’isolamento», che tanto spesso affliggono gli uomini di oggi. «Il grande rischio del mondo attuale – osserva Francesco – con la sua molteplice e opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata». Al contrario, il cuore aperto del credente, che nell’impegno a favore del prossimo e del mondo dimentica se stesso, gli fa sperimentare, quale dono inatteso e gratuito, la beatitudine di chi riceve la vita, avendola donata. «Questa gioia è un segno che il Vangelo è stato annunciato e sta dando frutto. Ma ha sempre la dinamica dell’esodo e del dono, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo, sempre oltre».
8. La misericordia come architrave della Chiesa
Come abbiamo visto, sono vari gli aspetti del rinnovamento che Francesco sogna per la Chiesa, e diversi sono i processi e le modalità descritte nella EvangeliiGaudium. Nessuno di essi è esaustivo, ma ognuno richiama immediatamente gli altri e si integra con essi. È simile a quanto avviene per le beatitudini, che tracciano ognuno la faccia di un diamante e sono fra loro complementari, così che i poveri in spirito non possono che essere anche puri di cuore, e i misericordiosi anche miti e operatori di pace. Tutte queste facce, però, vanno a comporre il diamante, che è l’amore, come le virtù concorrono alla carità, che ne è la sintesi e la madre. L’amore, allora, è la cifra sintetica della Chiesa che Francesco vuole edificare. Una Chiesa che sa essere misericordiosa avrà per forza imparato a servire i poveri, a essere fedele alla storia, a rinnovarsi e a essere umile, a gioire dei doni del Signore. L’amore è la pienezza, della Legge e della vita cristiana, delle relazioni sociali e di quelle interpersonali, della vita trinitaria e di quella di ognuno di noi, che dello splendore della Trinità partecipiamo.
L’amore è la verità del nostro essere uomini, è l’immagine di Dio, che è Amore, impressa in noi, è la meta del faticoso procedere della storia. Tutto ciò che ci insegna ad amare contribuisce quindi a renderci più uomini e più cristiani, mentre ciò che ce ne allontana non può essere giudicato buono che da un punto di vista terreno e materiale. Ben vengano allora le prove e le umiliazioni, purché le accogliamo come motivi di crescita; ben vengano gli insuccessi, personali ed ecclesiali, se ci insegnano a essere più umili e miti; ben vengano anche i peccati – a patto che non siano maliziosamente programmati – come occasione del perdono e di una grazia sovrabbondante.
La nostra riflessione critica sulla fede (teologia), come la stessa nostra prassi, devono rimettere al centro l’amore. L’amore da senso alla vita dell’uomo ed è segno concreto di partecipazione alla vita divina; è in esso che la Chiesa traduce in prassi concreta la teologia e gli orientamenti pastorali, che devono avere nella misericordia il suo centro.
Tutte le strutture della Chiesa sono dunque chiamate a veicolare la carità, quale linfa che ci lega a Dio e della quale la Chiesa vive, e tutte le iniziative pastorali ne siano un riflesso, sostenute da relazioni improntante alla stima reciproca e al perdono. Anche noi dobbiamo tornare a sognare, insieme a Francesco, una Chiesa bella, viva, evangelica e non solo rituale. Insomma, una “Chiesa in uscita” non solo verso ogni periferia geografica ed esistenziale, ma di uscire, come Chiesa dalla retorica, dai luoghi comuni e dal politicamente corretto; di annunciare che l’uomo non è solo, ma è oggetto di un disegno di grazia; di abitare il nostro mondo, assumendone le sfide; di educare i fratelli a vivere secondo la logica del Vangelo; di trasfigurare le relazioni e gli ambienti di vita mediante la pratica della misericordia, che sola – ci insegna questo Anno santo – dà senso e pienezza alla vita umana.
Nunzio Galantino
Segretario generale della CEI
Vescovo emerito di Cassano all’Jonio