«Al termine del cammino quaresimale celebriamo il giorno natalizio del nostro unico sacerdozio: siamo qui raccolti a compiere il gesto che segna la nostra identità e la nostra missione».
Così il vescovo Luigi Marrucci ha introdotto la Messa Crismale che si è svolta lo scorso 28 marzo nella Cattedrale di Civitavecchia.
La celebrazione eucaristica – in cui «si manifesta in modo del tutto particolare la visibilità della Chiesa diocesana» – ha aperto il triduo pasquale ed è stata concelebrata da tutto il clero della diocesi, con la partecipazione di religiosi e consacrati e una rappresentanza di animatori e collaboratori pastorali delle parrocchie. Si tratta di una liturgia, inserita nei riti della Settimana Santa, che costituisce uno dei momenti liturgici più importanti per la vita della comunità cristiana. È anzitutto la celebrazione in cui tutti, consacrati e laici, esprimono il loro sacerdozio che deriva da Gesù Cristo. Sia quello che scaturisce dal battesimo che quello ministeriale, che sgorga dal sacramento dell’ordine. Per questo, durante la liturgia, i presbiteri hanno rinnovato le promesse sacerdotali in comunione con il Vescovo.
Durante la Messa – animata dalla Corale Insieme diretta da Nicoletta Potenza – è stata inoltre invocata la benedizione di tutti gli oli sacri: quello degli infermi, dei catecumeni e l’olio per la consacrazione delle persone, dei luoghi e degli oggetti di culto.
Nell’omelia (testo integrale), monsignor Marrucci ha sottolineato come «solo Gesù, accolto come medico e balsamo che cura e allevia le nostre ferite, ci riconsegna la bellezza originaria del nostro Battesimo. Occorre però metterci sotto il suo sguardo, sul cui volto leggiamo soltanto amore e misericordia. E il volto, lo sappiamo, è strumento di comunicazione, nello sguardo c’è comunione». Una comunione che, secondo il vescovo, «si costruisce elemosinando e donando amore» e, inoltre, «vive di contemplazione e di orazione».
Ricordando la visita di papa Francesco del 20 maggio dello scorso anno, sulla tombe di don Primo Mazzolari e di don Lorenzo Milani, il presule ha detto come il Pontefice «abbia voluto mostrare così la grandezza del sacerdozio, dell’essere preti e dell’essere parroci in modo particolare, indicando due testimonianze alte del modo di stare, da prete e da parroco, accanto alla propria gente, ascoltandola, accompagnandola, sostenendola, mendicando amore». I due sacerdoti «sapevano coniugare bene amore a Cristo, alla Chiesa e passione per l’uomo: fedeltà a Cristo e attenzione per le persone, soprattutto quelle più fragili. Preti consacrati a Cristo e inviati agli uomini». «Questo sguardo a confratelli del passato – ha sollecitato – sproni anche noi a “non fare i preti” ma ad “essere preti”; la nostra identità non nasce dal ruolo dentro la comunità, nasce da una consacrazione». «Gesù Cristo – ha aggiunto – ci ha resi amici, cioè persone a cui ha donato un cuore per amare come lui ama. Ci ha scelti, ha messo in noi il suo amore. Non perché avesse bisogno di noi o del nostro servizio; lo ha fatto semplicemente perché ci ama».
Monsignor Marrucci ha inoltre specificato che «l’impegno del ministero comincia sempre dall’alto, da una chiamata a cui segue una rivelazione ed una missione», perché «per testimoniare e portare altri all’amore di Dio e del prossimo, bisogna prima di tutto possedere noi l’Amore, averlo fissato e accolto»
Il presule ha concluso rivolgendosi ai sacerdoti e ai diaconi, affermando che «la lectio divina, la celebrazione dell’Eucaristia, la liturgia delle ore e le pratiche di devozione secondo i tempi liturgici e la pietà personale ci offrono quotidianamente la possibilità di riandare alla sorgente della nostra consacrazione. E, con questo viatico, affrontare la strada della missione, sulla quale si cammina portando l’essenziale: si va con povertà, con umiltà, perché nulla di nostro dobbiamo preservare o salvare».
Il testo integrale dell’omelia