Don Pino Puglisi visse il Concilio “sul campo”

Grande partecipazione per il secondo appuntamento di "Narrare la Fede" che si è svolto lo scorso 31 gennaio a Tarquinia

«Il martirio di Don Pino Puglisi è stato un punto di svolta fondamentale per la Chiesa in Sicilia e in tutti quei luoghi in cui i cristiani si trovano a vivere conflitti e ingiustizie». Così don Angelo Romano ha ricordato il sacerdote ucciso nel 1993 da un sicario della mafia per il suo impegno a favore della giustizia e della legalità nel quartiere Brancaccio di Palermo.
Don Puglisi è stato il ‘testimone’ del secondo incontro del ciclo ‘Narrare la Fede’, l’iniziativa di formazione promossa dalla Diocesi in occasione dell’Anno della Fede. Nell’affollata chiesa di San Giovanni a Tarquinia, il 31 gennaio scorso è stato il vescovo, monsignor Luigi Marrucci, a introdurre la conferenza ricordando come «la testimonianza dei martiri ci aiuta a riaffermare la nostra fede e a sintonizzarci sempre più verso Gesù Cristo».
L’incontro è stato preceduto da una preghiera comunitaria con la lettura del Vangelo di Matteo nel passo del discorso della montagna. Proprio questo brano evangelico, ha spiegato il relatore Don Angelo Romano, aiuta a comprendere la figura del martire siciliano che verrà beatificato il prossimo 25 maggio.
«Con la sua opera – ha detto don Romano – fatta con la pratica liturgica, il catechismo e la preghiera, ha sottratto uno spazio franco alla mafia. La sua è stata una testimonianza semplice ma forte, resa dolorosa dal martirio, ma che sta portando i suoi frutti nella Chiesa, così come viene annunciato nel Vangelo delle beatitudini».
Don Angelo Romano, sacerdote della comunità di Sant’Egidio, di origine siciliana e rettore della Basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, ha conosciuto personalmente Don Puglisi, descrivendo la sua come «una vita bella, perché i martiri, vivendo nel Vangelo, diventano simili a Gesù».
Ha ricordato l’inizio del ministero del sacerdote martire, nel 1960, in una Palermo povera che ancora portava evidenti le ferite post belliche. Il primo impegno da viceparroco nel quartiere di Settecannoli «in cui scelse di stare al fianco dei poveri». Seguì l’esperienza di parroco a Godrano, un piccolo paese di montagna, teatro di una sanguinosa faida tra famiglie, qui sperimentò una pastorale di relazione che ripeterà poi nel quartiere Brancaccio di Palermo, visitando le famiglie per leggere il Vangelo insieme a loro.
Don Puglisi era un sacerdote della Chiesa conciliare, in cui si vivevano fermenti di novità ed entusiasmo e, sottolinea il relatore «scelse di vivere il Concilio ‘sul campo’, era un uomo dalla disponibilità totale».
Poi, sempre obbediente ai superiori, Don Puglisi tornò a Palermo per occuparsi delle vocazioni e insegnando religione a scuola. Nel 1990 l’incarico di parroco a Brancaccio, il quartiere in cui era nato. Un territorio abbandonato, senza servizi, in cui le prime vittime della mafia erano i bambini: nessuna scuola media o asilo, non un centro sociale comunale o un consultorio. Realizza per questo il centro Padre Nostro per i giovani e riceve le prime minacce dalla mafia, Brancaccio era il centro nevralgico di Cosa Nostra e la sua presenza era ingombrante.
Nei tre anni che Don Pino è stato a Brancaccio la mafia subì una trasformazione radicale, nasceva il periodo delle stragi, delle autobombe, dell’attacco allo Stato.
«Per comprendere l’omicidio di Don Puglisi – ha ricordato don Angelo Romano – va anche contestualizzata la sua figura e l’azione della Chiesa contro la mafia. Pochi mesi prima della sua morte, nel maggio del 1993, durante la visita in Sicilia, Giovanni Paolo II pronunciò parole durissime contro i mafiosi, invitando i cristiani a un impegno su tutti i livelli. Cosa Nostra gli rispose mettendo le autobomba nelle chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro a Roma. Dopo di questo i mafiosi non potevano sopportare un sacerdote che, sotto le loro finestre, testimoniasse le parole del Papa».
 
 
 
Breve biografia di Don Pino Puglisi
La sera del 15 settembre del 1993, in una Palermo in cui è ancora vivo il ricordo di tante stragi, viene assassinato don Pino Puglisi, un sacerdote che, con assoluta mitezza, aveva provato a diffondere tra i ragazzi di Brancaccio, uno dei quartieri palermitani a più alta densità mafiosa, il senso della giustizia e della legalità. Non aveva compiuto opere straordinarie, non voleva cambiare il mondo, voleva solo vivere secondo il Vangelo e che in questo lo seguissero i giovani.
Era un sacerdote diocesano ma, con una particolare forma di rispetto che si usa in Sicilia verso i sacerdoti più amati dalla comunità, anziché appellarlo con il ‘Don’ era per tutti Padre Pino.
Don Pino Puglisi era nato nel 1937 da una famiglia umile, il padre è calzolaio e la madre sarta, nella borgata Brancaccio. Cresce correndo tra le strade di questo quartiere, le stesse in cui, da parroco, predicherà la giustizia e le stesse che saranno teatro della sua morte. 
Quasi tutta la sua vita, quindi, si svolge in uno spazio dai confini ben determinati, ma le sue idee escono fuori da quel quartiere scuotendo le coscienze. Ordinato sacerdote il 2 luglio 1960 dal cardinale Ernesto Ruffini, il suo primo incarico, nel 1961, lo vede viceparroco nella parrocchia Santissimo Salvatore a Settecannoli, altro quartiere popoloso adiacente a Brancaccio. Fondamentale, nel suo percorso pastorale e spirituale, è l’incarico di parroco a Godrano, un paese distante circa quaranta chilometri da Palermo. Un’esperienza che diventa una vera e propria scuola di vita per sacerdote; è qui che padre Puglisi inizia a scontrarsi con una mentalità violenta e illegale,  imparando ad opporsi ad essa solo attraverso l’amore e la fiducia in Cristo. Godrano, in quegli anni, è infatti teatro di una faida tra famiglie: i bambini vengono cresciuti nell’odio verso gli altri, le madri inculcano loro sentimenti di rancore e rabbia.
Fino al 1990, anno in cui gli viene affidata la parrocchia di Brancaccio, Don Puglisi ricopre numerosi altri incarichi che lo portano a stare con i giovani: viene nominato pro-rettore del seminario minore di Palermo, direttore del Centro Diocesano Vocazioni diocesano e referente regionale per le vocazioni, insegnante di religione in un prestigioso liceo palermitano.
Non era un ‘prete di strada’, definizione che qualcuno ha provato a dargli, ma un sacerdote che viveva la strada per incontrare le persone e conoscerne le necessità. Così, tornato da parroco a Brancaccio, inizia un aspro confronto con le istituzioni chiedendo una serie di servizi che aiuterebbero gli abitanti a vivere più degnamente.
Brancaccio è una delle zone dimenticate di Palermo: nessuna scuola media o asilo, non un centro sociale comunale o un consultorio. Si impegna nel recupero di alcuni magazzini: sarebbero i locali perfetti dove ospitare uno dei tanti servizi assenti nel quartiere. Il 29 gennaio del 1993 riesce a inaugurarvi il centro ‘Padre Nostro’, che diventa il punto di riferimento per i giovani e le famiglie del quartiere. Il centro si pone come obiettivo la promozione umana dei portatori di handicap, dei bambini, degli anziani, dei giovani in difficoltà, degli ex-detenuti e di tutte le persone in stato di emarginazione.
La mafia, a questo punto, segue l’attività del sacerdote e diventa consapevole del fatto che, anche senza grandi manifestazioni, anche senza fare notizia, don Puglisi sta operando una rinascita culturale nel quartiere. La Chiesa, che fino a poco tempo prima offriva ‘asilo’ anche ai mafiosi, ora non è più disposta a chiudere gli occhi davanti a tanta violenza, così come denunciò papa Giovanni Paolo II nella sua visita a Palermo nel 1993. Nel giorno del suo 56° compleanno la mafia uccide Don Pino per mano di un sicario che, confesserà poi al processo, lo vide morire sussurrando ‘me lo aspettavo’ con il sorriso sulle labbra.