«La notte della preghiera, del sacrificio, del passaggio dalla schiavitù alla libertà. Non è una notte qualsiasi, è la notte della vita!». È questa la celebrazione della Pasqua, quella in cui «siamo in una creazione nuova» grazie al compimento dell’opera salvifica in Cristo. Una notte che il vescovo Gianrico Ruzza ha introdotto nella Messa in Coena Domini celebrata giovedì 6 aprile, nel Duomo di Tarquinia.
Una liturgia animata dalla Cappella Musicale del Duomo, diretta da Walter Rosatini e accompagnata all’organo da Michele Mainardi.
Al cuore della celebrazione la proclamazione del brano del Vangelo di Giovanni che narra la lavanda dei piedi nell’ultima cena.
In questa Messa, ha spiegato monsignor Ruzza «possiamo comprendere che nella notte di Pasqua si offre a Dio qualcosa di significativo: viene offerta la mitezza, la purezza, la dolcezza di un agnello senza difetti e senza macchia».
«Noi – ha detto il presule nell’omelia – sappiamo bene che la notte della Pasqua è la notte della vita. Quella in cui siamo liberati da ogni limite umano. E Dio dice che in quella notte passerà oltre le case degli Israeliti mentre opera la giustizia proprio a difesa del popolo amato. La sua giustizia è la liberazione dalla schiavitù: non solamente quella fisica dipendente dal faraone, la vera libertà è quella dal peccato che ci soggioga e fa di noi dei poveri ed indifesi schiavi».
Per operare il ricongiungimento con l’uomo avvolto nel peccato «Dio scompiglia i progetti della ragione»: dapprima con l’Incarnazione in cui «sceglie di condividere tutto dell’umanità sofferente e povera attraverso suo Figlio»; successivamente con la dimensione “diaconale” del Signore Gesù.
È la ragione per cui chiede che la Pasqua sia un memoriale, un invito a comprendere che «in ogni situazione della nostra esistenza Dio è con noi, come lo è stato quella notte con Israele e come lo è stato la notte del passaggio di Gesù dalle tenebre degli inferi fino alla luce della comunione col Padre e con gli uomini nella glorificazione della Resurrezione».
«La memoria dell’offerta – ha poi spiegato Ruzza – nasce nel servizio. Questa è la via della piccolezza che Dio sceglie in Gesù di Nazareth». La lavanda dei piedi «è il gesto degli schiavi, di coloro che non contano alcunché nella società e diventa il gesto più nobile di cui l’uomo sia capace: chinarsi sull’altro e guardare, curare, custodire le sue ferite e la sua vita. Un’intensità che difficilmente si può comprendere se non nella categoria della gratuità e della donazione».
Per capire appieno il gesto di Gesù «occorre amare in un modo nuovo», non più «solamente con reciprocità e soddisfazione, ma con gratuità e offerta». Un amore che è «umiltà e incontro, relazione e servizio».
Non basta infatti dire che Gesù è il Maestro, «occorre vivere come Lui iniziando a lavarci i piedi gli uni gli altri». «Prendersi cura dell’altro nella sua verità, povertà, fragilità». Un’attenzione rivolta certamente a coloro che vivono di stenti, ma c’è anche bisogno di pensare «alla povertà del cuore, alla solitudine, alla fragilità mentale, alla dispersione dei valori, all’assenza di un riferimento alle verità che ci parlano di trascendenza e di assoluto».
Si comprende allora «l’esortazione e precetto» di Gesù: ogni volta che fate questo, fatelo in memoria di me. «Ci sta dicendo – spiega Ruzza – ogni volta che ascoltate la Parola e vi mettete a pregare, mentre ricordate i gesti della cena, è proprio lì che attualizzate e rendete vivo e presente l’amore con il quale vi ho amato e che vi rende vivi e liberi per sempre»
Il vescovo, nel corso della celebrazione, ha compiuto il rito della lavanda dei piedi a dodici bambini della parrocchia che in maggio riceveranno la prima comunione. Al termine il Santissimo Sacramento è stato solennemente collocato nel tabernacolo all’altare della reposizione, allestito nella cappella dei santi Crispino e Crispiniano per l’adorazione «in cui contempliamo l’amore “sacrificato” del Signore Gesù» che ci fa nuovi con la decisione «di essere consegnato nelle mani degli uomini».