«Non sottraiamoci al compito gravoso e gioioso, al tempo stesso, di sentire il respiro della gente su di noi. Un respiro che ci chiede relazione, incontro, accoglienza, tolleranza, mano tesa, sorriso». Sono le parole che il vescovo Gianrico Ruzza ha rivolto ai confratelli presbiteri e diaconi della chiesa di Civitavecchia-Tarquinia che con lui hanno celebrato la Messa Crismale nella Cattedrale di Civitavecchia.
La liturgia – che il presule ha presieduto martedì 4 aprile a Civitavecchia e il giorno successivo a La Storta con il clero di Porto-Santa Rufina – ha aperto il triduo pasquale nelle due diocesi.
Una Messa, inserita nei riti della Settimana Santa, che costituisce uno dei momenti più importanti per la vita della comunità cristiana. È la celebrazione in cui tutti, consacrati e laici, esprimono il loro sacerdozio che deriva da Gesù Cristo. Sia quello che scaturisce dal battesimo che quello ministeriale, che sgorga dal sacramento dell’ordine. Per questo, durante la liturgia, i presbiteri hanno rinnovato le promesse sacerdotali in comunione con il vescovo. Durante la celebrazione è stata inoltre invocata la benedizione di tutti gli oli sacri: quello degli infermi, dei catecumeni e l’olio per la consacrazione delle persone, dei luoghi e degli oggetti di culto.
Il presule ha introdotto l’omelia ricordando ai sacerdoti come «in questo giorno così solenne siamo chiamati a sentire fortemente le motivazioni della nostra chiamata». Una chiamata che è molto concreta perché, ha spiegato, «siamo stati inviati da Qualcuno per un qualcosa». «Il Signore ci invia e ci chiede di porci al suo servizio».
L’invito è a «portare il lieto annunzio ai miseri»; «fasciare le cuore dei cuori spezzati»; «proclamare la libertà agli schiavi: a cominciare dagli schiavi del peccato e della debolezza»; «promulgare l’anno di Grazia del Signore», annunciando l’esperienza gioiosa di Dio «che viviamo nella nostra storia».
Il vescovo si è quindi rivolto ai presenti che si apprestavano a rinnovare le promesse sacerdotali: «Abbiamo deciso di unirci al Signore, rinunziando a noi stessi: dobbiamo chiederci se quotidianamente questa rinunzia alimenti la crescita del nostro zelo pastorale».
L’invito finale è stato di «riscoprirci innamorati della missione che la Chiesa ci ha affidato. Prendiamo coscienza dell’amore che il nostro popolo nutre nei confronti del sacerdozio di Cristo, indegnamente consegnato a ciascuno di noi. Crediamoci sostenuti dalla preghiera incessante dei fedeli che chiedono al Signore per noi fedeltà e perseveranza, trasparenza e dedizione, coerenza e gratuità».