Con questa assemblea diamo compimento al primo momento di “ascolto sinodale” del nuovo anno pastorale, che si è articolato nei cinque incontri di zona delle settimane scorse. Questo passaggio mi dà l’occasione per fare memoria del bellissimo ed intenso tempo di ascolto che abbiamo vissuto nell’anno passato, in cui abbiamo percepito un clima straordinario: il clima della libertà di parlare, molto sostenuto ad accresciuto dallo stile della conversazione spirituale. Si è trattato di un privilegio cui non dobbiamo rinunciare… Sta a tutti noi, infatti, valorizzare il desiderio di partecipazione e di corresponsabilità che è emerso nei vari incontri che abbiamo avuto. Si tratta di un’esperienza preziosa: dobbiamo farne memoria, dobbiamo esserne grati, possiamo onorarla, proseguendo il nostro impegno appassionato.
Ripartiamo, pertanto, dalla lettura di ciò che è emerso dall’ascolto sinodale dell’anno 2021-2022. Evidenzio in sintesi ciò che può aiutare a proseguire il cammino, individuando le “parole chiave” che delineano il percorso compiuto nel primo anno dell’ascolto sinodale e i passi iniziali del secondo anno (attraverso le assemblee di zona e le sintesi relative al lavoro dei tavoli). Queste parole non riducono l’immensa ricchezza del cammino sinodale che stiamo vivendo nella nostra chiesa di Civitavecchia-Tarquinia, un cammino che fa riscoprire a tutti la bellezza e la gioia dello “stare insieme” e del “camminare insieme”:
Non siamo ancora capaci di leggervi in trasparenza il suo significato etimologico di “camminare insieme”, come invece riesce a fare con grande naturalezza papa Francesco, che non a caso ha fatto di “sinodo” una parola chiave del suo pontificato. Camminare insieme trasmette immediatamente due caratteristiche fondamentali, tenendole unite. La prima è il dinamismo del movimento, di un processo che punta a un cambiamento. Chi vuole che tutto rimanga com’è, non si mette in cammino. La seconda è espressa dalla parola “insieme”: il processo sinodale si pone nella linea della costruzione di un “noi”. Anzi, per molti versi è la traduzione ecclesiale di quelli che papa Francesco, rivolgendosi anche a chi non fa parte della Chiesa, chiama «processi che possano costruire un popolo capace di raccogliere le differenze» (Fratelli tutti, n. 217). Un mondo frammentato come il nostro ha disperato bisogno di vedere che sono davvero possibili processi di reale incontro tra le differenze, senza che nessuna sia negata o schiacciata. Per questo una Chiesa sinodale è immediatamente anche un segno profetico «dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Lumen gentium, n. 1).
(Giacomo COSTA, Fare Sinodo: il coraggio della fecondità, in Aggiornamenti Sociali, ottobre 2021)
Le parole chiave che individuo nelle varie fasi di ascolto sono: COMUNIONE/APPARTENENZA/FORMAZIONE/RELAZIONE/TESTIMONIANZA.
Previamente desidero osservare che il cammino sinodale che stiamo vivendo in comunione con tutte le Chiese che sono in Italia presenta aspetti complessi, laddove da parte di alcuni la novità del metodo e delle prospettive può rappresentare un motivo di preoccupazione rispetto alla logica del “si è sempre fatto così” che ha caratterizzato l’azione pastorale (quasi globalmente) per molti anni. Potrei dire che è come se dovessimo risvegliarci da una situazione di “abitudine” che ci avvolge e ci “costringe” in uno schema che è superato nella logica dei fatti. Gli eventi del cambiamento culturale e, con essi, la cultura mediatica che caratterizzano questa fase della storia impongono una riflessione approfondita sulle modalità con cui ci poniamo dinanzi alle persone e – conseguentemente – sull’efficacia dell’azione pastorale.
In questo senso il tema della modalità sinodale non è “rimandabile”: il Papa afferma continuamente che lo stile di azione sinodale deve diventare il modo in cui la Chiesa opera all’interno della società.
I cammini sinodali, universale e italiano, sono l’occasione propizia per affrontare questa difficoltà, ben sapendo che per la Chiesa la sinodalità implica la questione dell’identità. Ci mettono in questa prospettiva le tre parole scelte come sottotitolo del Sinodo 2021-2023: la Chiesa è comunione, che è espressa e al tempo stesso coltivata attraverso la partecipazione di tutti, ma non può rimanere rivolta all’interno, essendo a servizio alla missione. (Giacomo COSTA,
Fare Sinodo: il coraggio della fecondità, in Aggiornamenti Sociali, ottobre 2021)
COMUNIONE
Si tratta di un’esigenza che è emersa con forza da moltissimi. La tradurrei con “vita di fraternità”. Per comunione si intende, infatti, la capacità delle nostre comunità di essere accoglienti, di aprire le porte anche a chi appare lontano, di mostrare un sorriso, di vivere con serenità, di non giudicare e di non chiudersi in atteggiamenti dogmatici, di ascoltare nel profondo le esigenze delle persone.
Una sottolineatura particolare riguarda il mondo giovanile: non nascondiamoci che la presenza dei giovani nella nostre comunità è residuale. Le cause da indagare non ci portano ad un risultato, anche se è bene porsi qualche domanda. Quello che dobbiamo registrare è un vero e proprio allontanamento della maggior parte dei giovani dal nostro mondo e – cosa ben più grave – la mancanza di entusiasmo nell’aggregazione in luoghi ecclesiali. Possiamo rimpiangere gli oratori di una volta…. Oppure fare in modo che si riapra il dialogo con quei giovani che attualmente gli oratori li giudicano “luoghi per sfigati”. Una Chiesa in comunione (comunione con il Vescovo, comunione tra laici e presbiteri, comunione tra le realtà parrocchiali ed associative, comunione verso le persone cui rivolgiamo l’annuncio evangelico) è una Chiesa che porge la bellezza del Vangelo con calore, con gioia e con la prospettiva che la proposta del Vangelo sia invitante e attraente.
In alcune parrocchie manca la componente giovanile, si avverte la necessità di coinvolgerli nei vari gruppi presenti. Il progetto “giovani per i giovani” è una realtà parrocchiale che vede il gruppo dei preadolescenti/adolescenti seguiti da alcuni responsabili della stessa età che possano individuare delle attività coinvolgenti con la supervisione di alcune catechiste. (dai Tavoli sinodali del mese di ottobre)
Le scelte vissute in comunione rafforzano la presenza della Chiesa nel mondo: la credibilità e l’autorevolezza che ci viene riconosciuta dal contesto sociale saranno tanto più efficaci ed autentiche quanto più saranno frutto di un cammino fatto insieme in cui tutti – secondo i propri carismi e le proprie disponibilità offerte per il servizio – si sentiranno protagonisti dell’azione di evangelizzazione e di diaconia nel contesto in cui operiamo.
Quando ho chiesto se le persone siano disposte a metterci la faccia ed il cuore… la risposta è stata coralmente e convintamente: sì, la faccia ce la mettiamo ogni giorno! Questo è proprio un segno del desiderio di comunione.
Perché “la faccia” ce la mettiamo ogni giorno in tutte le attività parrocchiali dalla pulizia della chiesa alle celebrazioni, dalle opere di carità all’organizzazione di eventi religiosi. Aiutiamo i parroci in tutte quelle iniziative che coinvolgono la parrocchia. . (dai Tavoli sinodali del mese di ottobre)
Talora, tuttavia, emerge anche qualche sofferenza:
Sono emerse situazioni in cui qualcuno vorrebbe ‘fare qualcosa’ ma in parrocchia nota che c’è spazio soltanto per chi ha già dei ‘ruoli’. Inoltre ci si è chiesti quanto questa ‘latitanza’ sia dovuta ad un reale disinteresse di tutti oppure derivi anche dalla nostra responsabilità. Inoltre ci siamo domandati quanto di fatto si pensi e si faccia per cercare di coinvolgere, a parte un invito frettoloso ‘a voce’. La lettura che si fa del disinteresse di tutti può farci rischiare di non impiegare troppe energie per trovare e sperimentare modalità di coinvolgimento diverso. (dai Tavoli sinodali del mese di ottobre)
La coscienza della necessità di un impegno è forte e invita ad una rinnovata assunzione di responsabilità. Il coinvolgimento dei laici non è un’opzione di ripiego, è la conseguenza delle scelte conciliari, il riconoscimento del carisma battesimale, il necessario sviluppo di un approccio teologico che ha il suo perno nell’idea della centralità del popolo di Dio per l’azione missionaria ed evangelizzatrice, alla luce della Tradizione cristiana e dell’insegnamento di Gesù che ha affidato ai laici l’annuncio della Resurrezione, a cominciare dalle donne che sono testimoni della tomba vuota.
Quindi emerge il fatto che intorno a noi ci sono persone che aspettano un invito, per diventare laici impegnati pronti a testimoniare il vangelo con i doni e carismi che gli sono stati donati, magari da un ambone con una richiesta specifica “C’è bisogno di questo…c’è qualcuno che…”. Ma l’aspettano soprattutto da noi già “impegnati” che se riuscissimo ad essere protagonisti in umiltà, riusciremmo a metterci veramente la faccia in ogni servizio e ministero richiestoci dal sacerdote, dando una testimonianza attiva del vangelo. (dai Tavoli sinodali del mese di ottobre)
La comunità che vive nella gioia e nella fraternità non può rimanere un sogno o un’utopia, ma deve essere l’obiettivo cui tendiamo con il cuore e con le scelte operative. Sentiamo tutti come sia necessaria la comunione per divenire ogni giorno di più efficaci testimoni della bellezza del vangelo e convinti annunciatori della Parola che dona la salvezza.
Viene inoltre rimarcata la fatica dell’impegno che spesso può scoraggiare e quindi l’importanza dell’avere al proprio fianco una comunità che ci sostenga e sproni ad andare avanti ed anche l’imbarazzo, nonostante la tenacia, nel dover “mettere la faccia” quando a volte la famiglia o il gruppo di amici o colleghi non condivide lo stesso percorso di fede. È condivisa la convinzione che il mettersi a disposizione in maniera responsabile e consapevole porti poi un ritorno fondamentale in termini di gioia, apertura verso il prossimo e forza per proseguire il cammino. Un altro aspetto condiviso che emerge durante il confronto, in risposta alla seconda parte della domanda, è la necessità di farci trovare accoglienti verso coloro che si avvicinano o riavvicinano alla comunità e quindi alla chiesa. Viene ribadito da parte di alcuni il bisogno (non sempre corrisposto) di trovarsi di fronte sacerdoti e laici aperti ed accoglienti, che sappiano dimostrarsi vicini e coinvolgenti verso chi non ha il nostro stesso passo ma vuole comunque rendersi protagonista nella comunità, nel rispetto della diversità dei caratteri e dei tempi di ognuno. (dai Tavoli sinodali del mese di ottobre)
A presiedere la comunione saranno i nostri Pastori, a cominciare dal Vescovo. A loro possiamo e dobbiamo chiedere che il ruolo ricoperto sia quello di “servi” e di “garanti” dell’esperienza di comunione che è propria della comunità cristiana, ricca di carismi e di ministeri.
3Per la grazia che mi è stata data, io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto conviene, ma valutatevi in modo saggio e giusto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. 4Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, 5così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri. 6Abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi: chi ha il dono della profezia la eserciti secondo ciò che detta la fede; 7chi ha un ministero attenda al ministero; chi insegna si dedichi all’insegnamento; 8chi esorta si dedichi all’esortazione. Chi dona, lo faccia con semplicità; chi presiede, presieda con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia. (Rm 12, 3-8)
APPARTENENZA
Riempie di gioia la consapevolezza che le persone siano felici di appartenere ad una comunità viva e vitale. Tuttavia, emerge il bisogno di diffondere il senso di appartenenza in misura più coinvolgente verso coloro che rimangono “al di fuori” e che non sono attratti verso un “ritorno” alla casa da cui provengono.
Siamo qui a Firenze, città della bellezza. Quanta bellezza in questa città è stata messa a servizio della carità! Penso allo Spedale degli Innocenti, ad esempio. Una delle prime architetture rinascimentali è stata creata per il servizio di bambini abbandonati e madri disperate. Spesso queste mamme lasciavano, insieme ai neonati, delle medaglie spezzate a metà, con le quali speravano, presentando l’altra metà, di poter riconoscere i propri figli in tempi migliori. Ecco, dobbiamo immaginare che i nostri poveri abbiano una medaglia spezzata. Noi abbiamo l’altra metà. Perché la Chiesa madre ha in Italia metà della medaglia di tutti e riconosce tutti i suoi figli abbandonati, oppressi, affaticati. E questo da sempre è una delle vostre virtù, perché ben sapete che il Signore ha versato il suo sangue non per alcuni, né per pochi né per molti, ma per tutti. Vi raccomando anche, in maniera speciale, la capacità di dialogo e di incontro. Dialogare non è negoziare. Negoziare è cercare di ricavare la propria “fetta” della torta comune. Non è questo che intendo. Ma è cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, oserei dire arrabbiarsi insieme, pensare alle soluzioni migliori per tutti. Molte volte l’incontro si trova coinvolto nel conflitto. Nel dialogo si dà il conflitto: è logico e prevedibile che sia così. E non dobbiamo temerlo né ignorarlo ma accettarlo. «Accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo» (Evangelii gaudium, 227). (Discorso di Papa Francesco ai partecipanti al V Convegno ecclesiale della Chiesa italiana, Firenze, 10 novembre 2015)
Perché appartenere vuol dire avere chiara la propria identità e l’identità del cristiano sta nel Vangelo. Apparteniamo al Signore Gesù, come dice San Paolo con molta chiarezza:
25Sopraggiunta la fede, non siamo più sotto un pedagogo. 26Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, 27poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. 28Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. 29Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa. (Gal 3, 25-29)
La bellezza dell’essere comunità genera la convinzione di appartenere ad un popolo che cammina nell’ascolto della Parola, nella celebrazione del mistero eucaristico, nella diaconia verso le sofferenze ed i bisogni delle persone. È un popolo sinodale che sceglie di mettersi in gioco anche in contesti complicati ed irti di difficoltà.
Evidenziarmo come praticare la sinodalità sia il modo per dare attuazione alla ecclesiologia del Vaticano II, a partire dalla sottolineatura di ciò che tutti i cristiani hanno in comune, cioè il battesimo e la uguale dignità che ne deriva: «Se anche per volontà di Cristo alcuni sono costituiti dottori, dispensatori dei misteri e pastori a vantaggio degli altri, fra tutti però vige vera uguaglianza quanto alla dignità e all’azione nell’edificare il corpo di Cristo, che è comune a tutti i Fedeli» (Lumen gentium, n. 32). Così come comune è la responsabilità di portare a termine la missione di evangelizzazione, pur con modalità differenziate a seconda della vocazione di ciascuno. La ricchezza e la profondità di questa comunione radicata nella dignità battesimale diventa garanzia dell’autenticità della fede: «La totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dal Santo, (cfr 1 Gv 2,20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando “dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici” mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale» (Lumen gentium, n. 12). In una Chiesa sinodale, anche la fede è camminare insieme! (Giacomo COSTA, Fare Sinodo: il coraggio della fecondità, in Aggiornamenti Sociali, ottobre 2021)
In sintesi direi: appartenere convintamente per servire gioiosamente!
FORMAZIONE
Come ho detto ripetute volte la richiesta di formazione è molto forte. Ed è presente a vari livelli: dal ripensamento del percorso di iniziazione cristiana, alla proposta di una catechesi per adulti che non sia esclusivamente quella della proposta del cammino neocatecumenale (che è certamente una risorsa grande e bella per la nostra comunità e – tuttavia – non può essere unica opportunità offerta ai nostri fedeli), alla rimodulazione dei percorsi di iniziazione al sacramento del matrimonio, peraltro già avviata da quasi due anni con risultati incoraggianti.
A questo livello il popolo di Dio percepisce che le offerte formative sono numerose:
Sentiamo la corresponsabilità nelle scelte dei percorsi proposti come:
- il percorso di catechesi neocatecumenale per giovani e adulti;
- la Scuola della tenerezza che vede coinvolte delle coppie che hanno scelto di partecipare in modo attivo all’iniziativa proposta dal Vescovo per approfondire la “Tenerezza di Dio” scegliendola come progetto di vita;
- il gruppo di preghiera di Padre Pio;
- il percorso catechistico (dai Tavoli sinodali del mese di ottobre)
Tuttavia, oltre ciò che già ci compie nelle nostre comunità, la domanda di formazione è molto forte e sembra chiedere uno sforzo in più, soprattutto in ordine alla prospettiva dell’assunzione di responsabilità da parte dei laici nella vera ed autentica corresponsabilità al servizio della comunità cristiana (anche intesa come corresponsabilità in una singola parrocchia).
So bene che qualcosa in più dovremmo fare e penso che il tempo del discernimento che si aprirà nel prossimo anno deve chiederci una riflessione specificamente orientata in tal senso. Intanto, però, possiamo valorizzare gli strumenti che già abbiamo a disposizione, come quelli elencati dalla riflessione dei tavoli sinodali (mi sta particolarmente a cuore la Scuola della Tenerezza) e quelli che portiamo avanti con generoso impegno (penso alla Scuola diocesana di Teologia). Vorrei ricordare che nella fratellanza con la Diocesi di Porto-Santa Rufina le occasioni di formazione e di crescita possono essere moltiplicate per la ricchezza di iniziative e di strumenti che in quella Chiesa locale esistono e che possiamo condividere in modo costruttivo. Spero di poter proporre un nuovo cammino di formazione per operatori pastorali da offrire nel prossimo anno pastorale che abbia la capacità di fare sintesi tra le dimensioni del servizio di evangelizzazione, formazione e diaconia caritativa.
RELAZIONE
Sappiamo che il fulcro del percorso sinodale è stato individuato nella ricerca appassionata delle relazioni. Abbiamo compreso come il nodo delle difficoltà che oggi la comunità cristiana incontra nel suo servizio di annuncio della Verità stia proprio nelle relazioni personali: relazioni tra presbiteri e laici, tra i gruppi esistenti nelle comunità, tra la parrocchia e le realtà esterne. E – perché no? – nella relazione tra le persone ed il Vescovo. Ovviamente mi rendo disponibile per approfondire l’argomento anche per quanto mi riguarda direttamente, manifestando piena disponibilità ad incrementare le relazioni e a facilitare i contatti che possono essere richiesti per la relazione con il Pastore.
La “chiave” di tutto l’agire pastorale nel suo rinnovamento (sempre più necessario) è proprio nella relazione. Abbandoniamo l’idea che quella della relazione personale sia una “scoperta” innovativa. La proposta cristiana è sempre stata rivolta nel dialogo personale e sempre si è alimentata della forza delle relazioni personali, da quanto il Verbo di è diffuso per le strade del mondo.
A questo riguardo condivido un passaggio molto forte di un testo di P. Costa che parla del “metodo Martini”:
Il primo passo, di cui Martini è indubbiamente un esperto, è l’ascolto della realtà, nel rispetto di tutte le sue sfaccettature, accettando anche il disagio di sostare negli interrogativi senza ricorrere sbrigativamente a risposte preconfezionate. L’ascolto della realtà permette di raccogliere dati e informazioni, ma la sua valenza va al di là di questo aspetto funzionale. L’ascolto è innanzi tutto espressione di un atteggiamento di fondo nei confronti del mondo. Tre aggettivi ci aiutano a metterne a fuoco le caratteristiche. Quello che Martini pratica e propone è anzitutto un ascolto contemplativo. Occorre comprendere bene il senso che il Cardinale dà a questo termine, che scelse come perno della prima lettera pastorale rivolta alla diocesi di Milano, intitolata La dimensione contemplativa della vita9. La contemplazione non va qui intesa come pratica spirituale cristiana, ma in un senso più profondo, di radicale apertura nei confronti della realtà e di disponibilità a lasciarsi toccare nel proprio intimo, prestando attenzione alle risonanze interiori che essa suscita. È dunque un ascolto che richiede di accettare una passività originaria e al tempo stesso di mettere in gioco tutta la propria affettività, una componente molto forte della personalità di Martini, pur celata da una apparente ieraticità. Inteso in questo senso, un ascolto contemplativo non può che essere empatico, cioè sgombro di pregiudizi e teso a cogliere e poi restituire agli interlocutori quanto possa stimolare ulteriori passi, non a porre ostacoli al prosieguo del cammino. Per questo si tratta anche di un ascolto capace di discernimento, cioè in grado di selezionare ciò che merita di essere approfondito perché potenzialmente costruttivo. (Giacomo COSTA, Alle radici spirituali dell’impegno sociale. L’eredità di Carlo Maria Martini, in Aggiornamenti Sociali, agosto-settembre 2022)
Sento quanto sia importante e determinante sottolineare l’urgenza di “curare” le relazioni. Talora il rapporto con la Chiesa può sembrare burocratico, funzionale, occasionale. Proprio dal combattere questa dimensione estremamente riduttiva della nostra vita inizia il percorso di rinascita del senso di comunità. È da qui che iniziamo a risalire la china: abbiamo bisogno di relazioni feconde e generose. Che siano anche generative di nuovi rapporti e di fiducia rinnovata. La Chiesa – ricordiamolo sempre- ha la metà della medaglia della vita dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, per tornare a quella felice espressione di Papa Francesco, colta nel discorso di Firenze (vedi sopra).
So anche che i Pastori possono e debbono lavorare molto su questo. Talora giungono al Vescovo delle osservazioni su alcune manifestazioni di “durezza” da parte dei sacerdoti. Debbo dire che – nella stragrande maggioranza dei casi – tra le risposte inviate per l’ascolto dell’anno passato sono giunti moltissimi segnali di stima e di apprezzamento per l’infaticabile lavoro dei sacerdoti. Ogni situazione può ammettere qualche eccezione ed io, per verità, ho il dovere di sottolinearlo. Tuttavia, atteso il fatto che sono convinto che i presbiteri della nostra Chiesa svolgano con impegno il proprio ministero, immersi nella vita del popolo loro affidato, riconosco che molto c’è da fare nella “passione” per la relazione. In molti ci hanno manifestato la consapevolezza dell’importanza dell’accompagnamento da parte dei propri sacerdoti nel proprio cammino di crescita.
Immagino sacerdoti e operatori pastorali che decidano di creare percorsi nuovi per avvicinare le persone, che scelgano di stare in piazza o nei luoghi di aggregazione della gente per “agganciare” le vite e le storie, che siano aperti a sollecitazioni (anche originali) pur di aprire le porte della propria comunità a fratelli/sorelle nuovi/e che desiderano entrare in contatto con la speranza della vita cristiana.
Certamente, il compito di ritessere i fili delle relazioni tra società civile e comunità cristiana è prioritario rispetto ad ogni possibile iniziativa pastorale. Dovremmo convergere verso quella direzione, per ritrovare il popolo che si è allontanato (certamente, non tutto il popolo…) e riappropriarci del gusto dell’incontro e dell’amicizia.
Un altro aspetto condiviso che emerge durante il confronto, in risposta alla seconda parte della domanda, è la necessità di farci trovare accoglienti verso coloro che si avvicinano o riavvicinano alla comunità e quindi alla chiesa. Viene ribadito da parte di alcuni il bisogno (non sempre corrisposto) di trovarsi di fronte sacerdoti e laici aperti ed accoglienti, che sappiano dimostrarsi vicini e coinvolgenti verso chi non ha il nostro stesso passo ma vuole comunque rendersi protagonista nella comunità, nel rispetto della diversità dei caratteri e dei tempi di ognuno. Emerge con entusiasmo il bilancio positivo di questa nuova modalità delle assemblee sinodali e viene anche chiesto di incontrarsi più spesso, per conoscersi di più, allargare quel senso di famiglia già percepito e farsi così sempre più coinvolgenti verso tutti. (dai Tavoli sinodali del mese di ottobre)
Sono, perciò, convinto che proprio dall’impegno teso a suscitare uno stile più relazionale, più cordiale, più fraterno deriva la possibilità che questa nostra Chiesa sia accogliente e attraente, che sia gioiosa e sorridente, che sia veramente “colorata” e coinvolgente.
Al contrario, l’immagine di Chiesa che viene auspicata è piuttosto quella di una casa accogliente dove trovare un sorriso che scarica le tensioni della giornata, il calore di un abbraccio, concedersi una pausa per un amico, dove poter parlare senza essere giudicati, dove porre al centro «sane e funzionali relazioni che presuppongono silenzi e ascolto», che siano sincere e costruttive. Secondo molti non si dovrebbe più parlare in termini di diversità perché ognuno può trovare il suo posto con la sua unicità, può «faticare insieme e sporcarsi le mani» perché quello ecclesiale «è un cammino che a vari livelli e a varie partenze abbiamo iniziato tutti, ora è arrivato il momento di prenderci per mano e camminare accanto a chi è rimasto troppo indietro». In questo modo la Chiesa potrà «aprire di nuovo i cuori alla speranza». (Sintesi del cammino del primo anno, p. 4)
Non rimane che decidere con forza di camminare in questa direzione!
TESTIMONIANZA
Alla domanda su che cosa faccio di concreto per parlare di Gesù le risposte sono state tante ed incoraggianti. Non possiamo negare la difficoltà a rendere testimonianza in un mondo che sta tentando con molte iniziative l’esculturazione della fede cristiana. Può esserci paura, imbarazzo, timore di non essere all’altezza del compito…. Ma c’è certamente il desiderio di esprimere la potenza della fede e la bellezza dell’incontro con Dio. È significativo, pertanto, che da parte di moltissimi ci sia non solamente la disponibilità a metterci la faccia, ma anche la gioia di parlare di Gesù. Qualcuno dice: se manifestiamo che nella vita parrocchiale siamo felici, questo susciterà domande e curiosità che saranno un preludio ad una domanda circa la fede. Non è testimonianza, questa?
Mi sembra doveroso, a questo punto, dare la parola rispettivamente ad alcuni di voi, ad alcune voci che sono emerse nei tavoli dei giorni scorsi, che esprimono la disponibilità gioiosa e la responsabilità “ponderosa” che voi – proprio voi – intendete vivere nella nostra Chiesa:
E’ emerso quanto segue: La testimonianza nel quotidiano senza lasciarsi influenzare dalle opinioni altrui, ad esempio sul posto di lavoro ma anche nella famiglia e nelle attività ricreative. Testimoniare il proprio impegno cristiano nella semplicità senza dibattere e senza dover dare motivazioni ma continuando a testimoniare la fede con gesti concreti. Quindi testimoniare Gesù cercando di coinvolgere le persone “lontane” all’interno della realtà parrocchiale invitandole a partecipare alle iniziative della comunità stessa.
Tutti sono stati concordi che lo strumento più idoneo sia l’esempio che testimoni la bellezza e la pienezza di una vita vissuta mettendo al centro Gesù Cristo. Questo in tutti gli ambienti in cui viviamo, dove il Signore crea continuamente occasioni di confronto.
Dobbiamo predicare il Vangelo a tempo e fuor di tempo (2 Tm 4,2), non sappiamo chi incontreremo nel nostro cammino, e come Gesù bisogna essere pronti ad affrontare qualsiasi situazioni e a soddisfare i bisogni della gente (testimoniare, amare, perdonare). Per annunciare il Vangelo però è necessario formarsi, conoscere e vivere quanto annunciamo, dare testimonianza in azioni e verità, osservando, ascoltando e prendendosi cura dell’altro.
La testimonianza che fondamentalmente deve venire prima di tutto dal silenzio e dalla preghiera, da un maggior impegno nell’ascolto della Parola di Dio e dall’accettazione delle proprie fragilità. Si ribadisce infine l’importanza di dare sempre l’esempio, un piccolo input, con i più piccoli ed in famiglia con costanza e senza stancarsi e della condivisione delle proprie esperienze di vita in ogni occasione.
Attraverso queste due semplici parole: ACCOGLIENZA E AMORE”. Ed anche: COERENZA. Perché ciò che vivi possa essere specchio e testimonianza di ciò che credi nel tuo cuore.”
Si è cristiani 24 ore al giorno soprattutto nell’ordinario, nel proprio condominio per esempio. Inoltre dice di non avere paura del giudizio altrui: di saper mantenere una linea di pensiero se sente che sia quella giusta. Pur essendo una persona di età sopra i settanta sostiene di seguire tic toc perché dice che gli piace rimanere collegato col mondo.
Far capire a chi ci circonda l’appagamento ed il benessere interiore che può dare la consapevolezza di vivere correttamente la cristianità. (dai Tavoli sinodali del mese di ottobre)
LAVORAMO…. SIAMO IN MEZZO A DEI CANTIERI…
Infatti, il prosieguo del cammino di ascolto sinodale avverrà attraverso quattro cantieri che saranno luoghi di incontro e di confronto, attraverso modalità che ci verranno indicate prima dell’Avvento.
Vi offro la panoramica di questi cantieri.
Il cantiere della strada e del villaggio
“Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio”. Gesù non evita i villaggi, ma insieme al gruppo dei discepoli e delle discepole li attraversa, incontrando persone di ogni condizione. Sulle strade e nei villaggi il Signore ha predicato, guarito, consolato; ha incontrato gente di tutti i tipi – come se tutto il “mondo” fosse lì presente – e non si è mai sottratto all’ascolto, al dialogo e alla prossimità. Si apre per noi il cantiere della strada e del villaggio, dove presteremo ascolto ai diversi “mondi” in cui i cristiani vivono e lavorano, cioè “camminano insieme” a tutti coloro che formano la società; in particolare occorrerà curare l’ascolto di quegli ambiti che spesso restano in silenzio o inascoltati: innanzitutto il vasto mondo delle povertà: indigenza, disagio, abbandono, fragilità, disabilità, forme di emarginazione, sfruttamento, esclusione o discriminazione (nella società come nella comunità cristiana), e poi gli ambienti della cultura (scuola, università e ricerca), delle religioni e delle fedi, delle arti e dello sport, dell’economia e finanza, del lavoro, dell’imprenditoria e delle professioni, dell’impegno politico e sociale, delle istituzioni civili e militari, del volontariato e del Terzo settore.
Sono spazi in cui la Chiesa vive e opera, attraverso l’azione personale e organizzata di tanti cristiani, e la fase narrativa non sarebbe completa se non ascoltasse anche la loro voce. Papa Francesco insiste sulla necessità di porsi in ascolto profondo, vero e paziente di tutti coloro che desiderano dire qualcosa, in qualsiasi modo, alla Chiesa (cf. Omelia per l’apertura del Sinodo, 10 ottobre 2021). Il Concilio Vaticano II, profezia dei tempi moderni e punto di riferimento per il Cammino, ha ricordato che la Chiesa non solo dà, ma anche riceve dal mondo (cf. GS 44-45). (dal Vademecum offerto dalla Conferenza Episcopale italiana in preparazione al secondo anno del cammino sinodale)
In questo cantiere (che vivremo a livello diocesano, con incontri organizzati dalla Commissione Sinodale) recuperiamo il desiderio/bisogno di dare TESTIMONIANZA e la necessità di investire sulle RELAZIONI.
Nella realizzazione di questo cantiere sinodale dovremo misurarci con la questione dei linguaggi, che in alcuni casi risultano difficili da decodificare per chi non li utilizza abitualmente: basta pensare ai codici comunicativi dei social e degli ambienti digitali abitati dai più giovani, o a quelli delle fratture prodotte dall’emarginazione. Occorrerà, dunque, uno sforzo per rimodulare i linguaggi ecclesiali, per apprenderne di nuovi, per frequentare canali meno usuali e anche per adattare creativamente il metodo della “conversazione spirituale”, che non potrà essere applicato dovunque allo stesso modo e dovrà essere adattato per andare incontro a chi non frequenta le comunità cristiane. In tal senso, sarà importante rafforzare e rendere stabile nel tempo l’ascolto dei giovani che il mondo della scuola e dell’università ha reso possibile, così da entrare in relazione con persone che altrimenti la Chiesa non incontrerebbe. Camminando per le strade e i villaggi della Palestina, Gesù riusciva ad ascoltare tutti: dai dottori della legge ai lebbrosi, dai farisei ai pescatori, dai giudei osservanti ai samaritani e agli stranieri. Dobbiamo farci suoi discepoli anche in questo, con l’aiuto dello Spirito.
Il cantiere dell’ospitalità e della casa
“Una donna, di nome Marta, lo ospitò” nella sua casa. Il cammino richiede ogni tanto una sosta, desidera una casa, reclama dei volti. Marta e Maria, amiche di Gesù, gli aprono la porta della loro dimora. Anche Gesù aveva bisogno di una famiglia per sentirsi amato. Le comunità cristiane attraggono quando sono ospitali, quando si configurano come “case di Betania”: nei primi secoli, e ancora oggi in tante parti del mondo dove i battezzati sono un “piccolo gregge”, l’esperienza cristiana ha una forma domestica e la comunità vive una fraternità stretta, una maternità accogliente e una paternità che orienta. La dimensione domestica autentica non porta a chiudersi nel nido, a creare l’illusione di uno spazio protetto e inaccessibile in cui rifugiarsi. La casa che sogniamo ha finestre ampie attraverso cui guardare e grandi porte da cui uscire per trasmettere quanto sperimentato all’interno – attenzione, prossimità, cura dei più fragili, dialogo – e da cui far entrare il mondo con i suoi interrogativi e le sue speranze. Quella della casa va posta in relazione alle altre immagini di Chiesa: popolo, “ospedale da campo”, “minoranza creativa”, ecc.
Il cantiere dell’ospitalità e della casa dovrà approfondire l’effettiva qualità delle relazioni comunitarie e la tensione dinamica tra una ricca esperienza di fraternità e una spinta alla missione che la conduce fuori. Si interrogherà poi sulle strutture, perché siano poste al servizio della missione e non assorbano energie per il solo auto-mantenimento, e dovrà verificarne sostenibilità e funzionalità. In un “cambiamento d’epoca” come il nostro, tale verifica dovrà includere l’impatto ambientale, cioè la partecipazione responsabile della comunità alla cura della casa comune (cf. Laudato si’). Questo cantiere si può aprire anche sugli orizzonti del decentramento pastorale, per una presenza diffusa sul territorio, oltre che sulle strutture amministrative come le “unità pastorali” e simili.
Nell’ambito del cantiere sinodale si potrà poi rispondere alla richiesta, formulata da molti, di un’analisi e un rilancio degli organismi di partecipazione (specialmente i Consigli pastorali e degli affari economici), perché siano luoghi di autentico discernimento comunitario, di reale corresponsabilità, e non solo di dibattito e organizzazione. (dal Vademecum offerto dalla Conferenza Episcopale italiana in preparazione al secondo anno del cammino sinodale)
Un cantiere, questo, che vivremo nelle singole comunità. In esso approfondiremo il tema della COMUNIONE e dell’APPARTENENZA. Sarà l’occasione per “testare” la temperatura RELAZIONALE, spirituale e comunitaria delle nostre parrocchie. Non dobbiamo avere paura di confrontarci, anzi! Dobbiamo – invece- con serenità entrare in contatto con le gioie autentiche e con le ferite reali che sono lo sfondo della vita parrocchiale. Solo in un dialogo sereno potremo riavviare con entusiasmo lo stile fresco e “colorato” della Chiesa che si apre al mondo e testimonia la bellezza dell’incontro con Gesù, il Salvatore.
Il cantiere delle diaconie e della formazione spirituale
“Maria (…), seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi”. L’accoglienza delle due sorelle fa sentire a Gesù l’affetto, gli offre ristoro e ritempra il cuore e il corpo: il cuore con l’ascolto, il corpo con il servizio. Marta e Maria non sono due figure contrapposte, ma due dimensioni dell’accoglienza, innestate l’una nell’altra in una relazione di reciprocità, in modo che l’ascolto sia il cuore del servizio e il servizio l’espressione dell’ascolto. Gesù non critica il fatto che Marta svolga dei servizi, ma che li porti avanti ansiosamente e affannosamente, perché non li ha innestati nell’ascolto. Un servizio che non parte dall’ascolto crea dispersione, preoccupazione e agitazione: è una rincorsa che rischia di lasciare sul terreno la gioia. Papa Francesco ricorda in proposito che, qualche volta, le comunità cristiane sono affette da “martalismo”. Quando invece il servizio si impernia sull’ascolto e prende le mosse dall’altro, allora gli concede tempo, ha il coraggio di sedersi per ricevere l’ospite e ascoltare la sua parola; è Maria per prima, cioè la dimensione dell’ascolto, ad accogliere Gesù, sia nei panni del Signore sia in quelli del viandante.
Il servizio necessita, dunque, di radicarsi nell’ascolto della parola del Maestro (“la parte migliore”, Lc 10,42): solo così si potranno intuire le vere attese, le speranze, i bisogni. Imparare dall’ascolto degli altri è ciò che una Chiesa sinodale e discepolare è disposta a fare.
Si apre il cantiere delle diaconie e della formazione spirituale, che focalizza l’ambito dei servizi e ministeri ecclesiali, per vincere l’affanno e radicare meglio l’azione nell’ascolto della Parola di Dio e dei fratelli: è questo che può distinguere la diaconia cristiana dall’impegno professionale e umanitario. Spesso la pesantezza nel servire, nelle comunità e nelle loro guide, nasce dalla logica del “si è sempre fatto così” (cf. Evangelii gaudium 33), dall’affastellarsi di cose da fare, dalle burocrazie ecclesiastiche e civili incombenti, trascurando inevitabilmente la centralità dell’ascolto e delle relazioni.
Il Cammino sinodale può far emergere questa fatica in un contesto nel quale si fa esperienza del suo antidoto: l’ascolto della Parola di Dio e l’ascolto reciproco, di cui molte sintesi hanno evidenziato una grande sete. Il primo obiettivo di questo cantiere sarà, allora, quello di riconnettere la diaconia con la sua radice spirituale, per vivere la “fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano” (Evangelii gaudium 92).
Si incroceranno, inoltre, le questioni legate alla formazione dei laici, dei ministri ordinati, di consacrate e consacrati; le ministerialità istituite, le altre vocazioni e i servizi ecclesiali innestati nella comune vocazione battesimale del popolo di Dio “sacerdotale, profetico e regale”. La centralità delle figure di Marta e Maria richiama poi esplicitamente il tema della corresponsabilità femminile all’interno della comunità cristiana. (dal Vademecum offerto dalla Conferenza Episcopale italiana in preparazione al secondo anno del cammino sinodale)
In questo cantiere lavoreremo soprattutto a livello di zone pastorali. È lo spazio per il confronto tra gli educatori ed i catechisti, che abbiamo già iniziato nello scorso mese di giugno e che sta producendo un rinnovamento della prassi di iniziazione cristiana nelle nostre comunità. Ma sarà anche lo spazio per pensare alla formazione in vista dei ministeri (finalmente possibili anche per la realtà femminile!) e per verificare se la logica del “si è sempre fatto così” è superata e possiamo finalmente dare spazio alla creatività e alla necessità di inventare percorsi nuovi, maggiormente rispondenti alle esigenze del tempo attuale, in cui il tentativo di esculturazione della fede cristiana sembra aggredire in modo massiccio il tradizionale tessuto della vita ecclesiale. Vorremmo che questo cantiere ci aiutasse a focalizzare l’attenzione prevalentemente sulla FORMAZIONE. E potremmo ipotizzare che il rimarcato bisogno di formazione si debba realizzare a livello interparrocchiale laddove le singole comunità non riescano ad offrire gli strumenti adeguati.
Il cantiere (diocesano) della povertà educativa
Un cantiere che abbiamo scelto di vivere e che si articolerà prevalentemente con un convegno e con iniziative che coinvolgano attori sociali e culturali a diretto contatto con la questione educativa.
Molti degli interventi dei tavoli ci hanno rimandato la consapevolezza della difficoltà a comunicare con i giovani del nostro tempo e soprattutto hanno evidenziato la distanza della Chiesa dai ragazzi che vivono un momento complicatissimo sia per le conseguenze della pandemia, sia per la dipendenza dai social. Sarebbe stolto negare tali criticità presenti nel vissuto quotidiano giovanile: aumento esponenziale dei disagi psicologici, presenza di autentiche forme depressive tra i ragazzi, costante situazione di incertezza/indecisione nei momenti forti della crescita (la scelta dell’indirizzo scolastico, il passaggio postscolastico, la difficoltà ad individuare un’attività lavorativa che sia soddisfacente e confacente alle attitudini personali), il timore che le prospettive future non offrano spazi di realizzazione personale, la paura di non essere accolti nel gruppo, la sensazione di essere esclusi dalla linea di consenso sociale. Le preoccupazioni sono, evidentemente, molte e il cantiere che tocca sia il tema della RELAZIONE, sia quello della FORMAZIONE, sarà un’occasione importante per un confronto a tutto campo su un tema così delicato e nevralgico per lo sviluppo delle nostre comunità.
INFINE, a mò di CONCLUSIONE…
In verità non c’è e non può esserci una conclusione. Sarebbe un tradimento del percorso sinodale, perché avere linee direttrici già tracciate vorrebbe dire limitare lo spazio e l’azione dello Spirito Santo. Permettiamo allo Spirito di suggerirci, di ispirarci, di condurci!
Iniziamo, perciò, con coraggio il cammino del secondo anno di ascolto sinodale. Aiutiamoci a superare ogni paura e a bandire ogni timore: potremmo testimoniare con forza la gioia di aver incontrato il Signore e di averGli consegnato le chiavi del cuore perché ci siamo FIDATI di LUI.
Credo sia fondamentale che ciascuno di noi possa pregare intensamente affinché l’entusiasmo e la gioia dei mesi trascorsi si traducano in impegno, in dedizione, in opere concrete di attenzione e di cura, che ci mostrino il cammino per quel rinnovamento che tutti desideriamo. Che sia forte in noi una certezza:
7Cerca di capire quello che dico, e il Signore ti aiuterà a comprendere ogni cosa.
8Ricòrdati di Gesù Cristo,
risorto dai morti,
discendente di Davide,
come io annuncio nel mio Vangelo,
9per il quale soffro
fino a portare le catene come un malfattore.
Ma la parola di Dio non è incatenata! 10Perciò io sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna. 11Questa parola è degna di fede:
Se moriamo con lui, con lui anche vivremo;
12se perseveriamo, con lui anche regneremo;
se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà;
13se siamo infedeli, lui rimane fedele,
perché non può rinnegare se stesso. (2Tm 2, 7-13)
A tutti buon cammino! Vi benedico con affetto
+ Don Gianrico, vescovo