Un cammino lungo quasi sei anni che, iniziato nel 2013 a conclusione dell’Anno della Fede, ha visto il vescovo Luigi Marrucci incontrare tutte le comunità parrocchiali della diocesi per una settimana. «La visita pastorale – ha detto il presule a Lazio Sette – è un momento particolare per vivificare il cosiddetto deposito della fede: la trasmissione della sola verità che è Gesù Cristo». La conclusione ufficiale si è avuta lo scorso 17 marzo nella Cattedrale di Civitavecchia. «Di fatto – ha però sottolineato – non si ferma mai, perché tutte le volte che il vescovo incontra la comunità, celebra e vive l’esperienza della carità è “visita del pastore”».
Quali sono le sue prime impressioni?
È per me un dovere, prima di tutto, ringraziare sacerdoti e fedeli per l’accoglienza e la condivisione del ministero e della vita cristiana. La visita è stata un tempo di grazia per pregare insieme e dare testimonianza di fede e di comunione a tutta la comunità credente e a quella più distante dalla Chiesa.
Per la comunità parrocchiale poi è stata occasione per rilanciare l’impegno nella realizzazione di una chiesa di volti e di pietre vive, alla luce di Gesù Cristo e della sua Parola.
Il dono dell’Evangeliario alla comunità e l’intronizzazione del Vangelo per il periodo della Visita ha voluto sottolineare proprio questa centralità nella vita di ogni comunità e di ciascun cristiano.
Come ha trovato le comunità parrocchiali?
Ho notato nei confratelli sacerdoti gioia e fatica per un ministero non sempre accolto e compreso, da chi avvicina. Gioia per servire Cristo nella Chiesa con una vita donata, vorrei dire espropriata, quale deve essere quella della persona consacrata.
La fatica è motivata prevalentemente da aiutare le persone a comprendere che la Chiesa è una comunità, si cammina insieme, si cresce insieme nella fede e non ci si avvicina solo quando si ha bisogno di servizi. Taluni la ritengono “supermercato del religioso” dove “acquistare” un sacramento.
Questa situazione si è molto ampliata in questi anni di scristianizzazione e riguarda intere famiglie: l’aumento delle convivenze, le separazioni, l’idolatria della persona, la conflittualità verbale e istituzionale a tutti i livelli, gli interessi non strettamente legati al cammino formativo cristiano che distolgono i ragazzi dall’impegno nella preparazione ai sacramenti. Una situazione che rende più faticoso il lavoro dei sacerdoti e degli operatori pastorali.
Una costante delle visite sono stati i suoi incontri con le famiglie.
Ringrazio il Signore per queste occasioni, davvero tantissime, dalle quali sono nate anche proposte che hanno già visto delle realizzazioni. Ad esempio l’attenzione alle coppie ferite, alle persone di identità di genere (LGBT) con periodici incontri e accompagnamento.
Sempre su suggerimento dei genitori si è offerto un contributo ad affrontare il problema della educazione dei figli circa l’utilizzo dei social, all’accoglienza di tutti i fratelli, senza distinzione di colore, di cultura, di religione.
Nella catechesi ai genitori ho preso come base per la riflessione gli orientamenti pastorali “Educare alla vita buona del Vangelo” laddove si parla del ruolo dei genitori, del problema della educazione e della formazione cristiana dentro la comunità.
Quali sono stati gli altri ambiti pastorali che ricorda?
Il tema dell’ecumenismo, in alcune parrocchie, è stato particolarmente sottolineato in quanto quelle comunità hanno nel proprio territorio la Chiesa protestante oppure quella Ortodossa. In diocesi vi sono quattro comunità protestanti e due ortodosse che mantengono con la Chiesa cattolica buone relazioni, con incontri periodici di preghiera e di condivisione fraterna. La presenza di autorevoli esponenti delle due fedi hanno poi incontrato clero e fedeli laici nel 2017 anno in cui ricorreva il cinquecentesimo della Riforma di Lutero.
Desidero anche spendere una parola sui giovani delle scuole di ogni ordine e grado che ho incontrato nei diversi istituti: grazie per avermi accolto insieme ai dirigenti scolastici e al corpo docente. Nessuna scuola mi ha negato l’ingresso, anzi alcune hanno ripetuto l’invito oppure gruppi di giovani sono venuti a visitarmi nell’abitazione per un dialogo e una pizza insieme.
Non sono mancate le occasioni in cui è venuto in contatto con la sofferenza.
La condizione degli anziani soli, ammalati o colpiti da varie forme di povertà mi ha lasciato molta amarezza, soprattutto pensando a quanto hanno fatto per i figli e quanto poco o niente ora ricevano nella loro vecchiaia. La stessa situazione di sofferenza l’ho vissuta per quelle famiglie in cui vi è un ragazzo disabile, magari con il genitore solo e anziano: la preoccupazione del “dopo di me” lo priva anche della gioia di vivere. Di questi problemi e di altri ho fatto presente alle varie amministrazioni comunali, ai cui responsabili ho donato il testo della Dottrina sociale della Chiesa.
Che messaggio invia ai fedeli dopo questa esperienza?
Occorre aiutare sempre di più le comunità a crescere come cristiani “adulti e responsabili”. Mi riferisco alla promozione di un laicato “corresponsabile”. Fare in modo che tutti si sentano coinvolti e partecipi della vita ecclesiale, secondo le proprie responsabilità e in base ai doni ricevuti. Ritrovare il gusto per la preghiera liturgica e sacramentale e impegnarsi di più per far rifiorire le vocazioni al sacerdozio ministeriale, al diaconato permanente, alla vita religiosa e consacrata, ai ministeri istituiti o di fatto esercitati.
Come proseguirà questa esperienza?
Quanto ho letto dalle relazioni che i parroci mi hanno presentato, insieme al fascicolo che raccoglie tutti i dati relativi alla Parrocchia, compilato in collaborazione con i Consigli pastorali e da quanto ho potuto osservare, sarà ora oggetto di riflessione sinodale per progettare insieme un cammino unitario che coinvolga l’intera comunità. A tutti rinnovo la mia gratitudine e prometto la mia preghiera.