“Viviamo nella gioia di essere luce”. L’ordinazione diaconale di Gianfranco Criscio

 
Sabato 16 marzo, nella Cattedrale di Civitavecchia, il vescovo Luigi Marrucci ha ordinato diacono permanente Gianfranco Criscio  Il candidato, animatore della parrocchia di San Gordiano Martire e del gruppo di Rinnovamento nello Spirito, completa un lungo cammino di fede maturato insieme alla moglie, al figlio e tutta la famiglia, con la scelta di lasciarsi segnare in profondità dalla grazia del sacramento.
Riportiamo il testo integrale dell’omelia di monsignor Marrucci.
 
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“Il  Signore è mia luce e mia salvezza:
è difesa della mia vita…
Il tuo volto, Signore, io cerco.
Non abbandonarmi, Dio della mia salvezza” [dal Salmo 27(26)].
 
Il Salmo responsoriale, collocato come risposta a Dio che ci parla, è l’insieme di due preghiere scaturite da due stati d’animo diversi:

è canto di fiducia, di gioia, di abbandono filiale alla contemplazione del Volto di Dio ed è supplica, lamento di chi si trova in difficoltà e chiede di non essere abbandonato.

Fiducia e abbandono costituiscono il dittico delle grandi rivelazioni di Dio che la Liturgia di questa seconda domenica di Quaresima – domenica della Trasfigurazione – ci fa contemplare.

Rivelazione del rapporto di fedeltà di Dio all’uomo nella persona di Abramo, il quale non ha alcun merito per attirare su di sé le benedizioni di Dio: chiamata e promesse sono un dono gratuito del Signore (Gen 15,5-12.17-18). Rivelazione del destino glorioso dell’uomo in Cristo che “”rasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso” (Fil 3,17-4,1): il Battesimo ha reso l’uomo credente”cittadino del cielo” perché in lui ha preso possesso la SS.ma Trinità e lo ha reso pellegrino, in cammino verso la pienezza della vita in Dio Infine rivelazione della divinità di Cristo, il “Figlio eletto” proclamato dal Padre nel racconto della Trasfigurazione.

Luca pone questa narrazione tra il primo e il secondo annuncio della Passione, quando Gesù, lasciata la Galilea, inizia il viaggio verso Gerusalemme, luogo in cui si manifesterà la pienezza del suo amore con il dono della sua vita.
E il Mistero pasquale rivela la divinità di Gesù e dice quanto Dio ami la sua creatura.
Sul Tabor avviene dunque la prima rivelazione dell’identità divina di Gesù, e il testo della Trasfigurazione illumina quello della croce e della risurrezione, anzi questo è la chiave di lettura per capire quello del sepolcro. 

Il Tabor è altare della Parola

Il Concilio Vaticano II ha fatto riscoprire la centralità della Parola di Dio nella vita della Chiesa e del cristiano, anzi la Parola che risuona nell’assemblea liturgica altro non è che l’incarnazione dell’agire di Dio, “il quale viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con essi” (DV 21).
“Dalla nube uscì una voce: Questi è il Figlio mio, l’eletto: ascoltatelo” (Lc 9,35): la Parola ascoltata e contemplata trasforma l’esistenza, fa diventare discepoli-missionari, testimoni della Parola.
Il diacono, preso dalla comunità e a servizio della comunità, è il ministro che condivide con i fratelli il dono della Parola, la vive con semplicità e l’annuncia con la vita.
“Ricevi il Vangelo di Cristo… credi ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni”: questa espressione del rito esplicativo di ordinazione sia scolpita nel tuo cuore, caro Gianfranco, e sia motivo per rendere nuova e bella la tua esistenza.
L’iniziativa della “lectio divina” in famiglia e nei gruppi, che da qualche anno condividiamo in diocesi, deve trovare nel diacono il servitore fedele, l’annunciatore gioioso, il testimone audace.
Annunciare la Parola significa essere missionari dell’amore di Dio.
Affido a te e ai miei collaboratori sacerdoti e diaconi questo ministero della “lectio divina” per una Chiesa che vuole crescere nella fede e condividere la comunione fraterna.

Il Tabor è altare della Presenza viva del Signore

“Mentre Gesù pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante” (Lc 9,29).
Luca unisce il tema della preghiera a quello della paternità di Dio: la voce del Padre che proclama il Figlio “eletto, amato” è preceduta dall’annotazione che Gesù pregava.
Così riscontriamo in diversi brani evangelici: nella Trasfigurazione, nel Battesimo al Giordano, nella scelta dei dodici, alla confessione di Pietro, sulla Croce.
“Gesù prega, ci ricorda Sant’Agostino, per darci l’esempio, perché l’uomo conosca l’importanza della preghiera”.
Ma la preghiera, ci dice San Paolo, è “funzione di identità”: uno prega per quello che è.
La preghiera di Gesù è “preghiera di figlio” ed è presentata come “segno distintivo” del discepolo.  
E l’umiltà è il fondamento della preghiera, è disposizione necessaria per riceverla in dono.
“L’uomo è un mendicante di Dio” (Sant’Agostino, Sermones 56,6,9).
La diaconia dell’altare richiede preghiera umile, contemplativa; preghiera che si fa richiesta continua di perdono; preghiera insistente che bussa al cuore del Padre e intercede per tutti.
Il momento attuale della Chiesa richiede questa incessante preghiera di purificazione: solo questa ci condurrà alla luce trasfigurante di una Chiesa rinnovata, comunità che risplende della luce del Volto di Dio.
Caro Gianfranco, cari amici presbiteri e diaconi, essere “consacrati nel ministero della Chiesa”, vuol dire immolare se stessi sull’altare della vita: è questo il sacrificio gradito a Dio.
Solo successivamente, il sacrificio dell’altare avrà significato e riempirà della sua fragranza la nostra esistenza e l’intera comunità ecclesiale.
“Sia pieno di ogni virtù: sincero nella carità, premuroso verso i poveri e i deboli, umile nel suo  servizio, retto e puro di cuore, vigilante e fedele nello spirito”.
E’ quanto lo Spirito Santo, con l’effusione dei suoi doni, compie nell’azione consacratoria perché il diacono adempia fedelmente l’opera del ministero.

Il Tabor è altare dell’amore

“Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia” (Lc 9,33) è la richiesta del discepolo assonnato ma attratto dall’amore del Maestro, amore ancora non pienamente svelato.
“Abitare una capanna” è la condizione di chi è nomade, in cammino verso una terra ed un’abitazione definitiva ed è la condizione del cercatore di Dio, esploratore del mistero dell’amore.
La Trasfigurazione prepara i discepoli ad un’altra grande teofania quella del Calvario dove avverrà la piena manifestazione dell’amore di Dio in Cristo Gesù.
“Perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri” dissero alcuni a Gesù mentre si trovava a Betania nella casa di Simone il lebbroso, quando una donna giunse con un vaso di puro nardo e versò il profumo sul capo del Maestro (Mc 14,3-5).
Ragionano così i benpensanti di ogni stagione.
Noi sappiamo che il profumo serve all’amore, alla gioia, alla festa. Giova alla vita.
Non perdiamo il coraggio del dono gratuito di un gesto di tenerezza e non spaventiamoci di regalare un sorriso ed una carezza: ce lo chiede Dio Amore, ci ricorda Papa Francesco.
Siamo responsabili di ciò che Dio ha iniziato in noi e in ogni essere umano.
Gesù ci chiama alla libertà, ci chiede di non lasciarci ingabbiare dagli egoismi, di non farci comprare dagli idoli. Ci dice che il pane è per tutti e per tutti è il perdono e la tenerezza.
Gesù ama l’ombra che è in noi, è innamorato di quella parte di noi che ha bisogno di luce, che chiede di essere abbracciata e accolta.
 
Lasciamoci avvolgere dalla luce perché trasfigurati, possiamo trasfigurare.
“Il vostro male è che non sapete quanto siete belli” ripeteva Dostoevskij ai cristiani.
“Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,14). Voi siete: quando un “io” e un “tu” s’incontrano, generano un “noi”: allora diventiamo luce.
Una parabola ebraica dice che ogni uomo viene al mondo con una piccola fiammella sulla fronte, che non si vede se non con il cuore. Quando le tante fiammelle sono insieme, c’è un mondo illuminato.
La nostra luce vive di comunione, di incontri, di condivisione.
Non preoccupiamoci di quanto saremo capaci di illuminare; viviamo nella gioia di essere luce.
Questa è Trasfigurazione.   
 
Cari amici, Dio ci vuole bene perché non siamo persone perfette, anzi proprio perché confidiamo nella sua misericordia, il suo amore viene, rimane in noi e ci chiede di contraccambiarlo.
Questo è il sacrificio che siamo chiamati ad immolare, ogni giorno, sull’altare della nostra esistenza.
 
Vi affido alla Madre del Bell’Amore, la Panaghia “Colei che è tutta santa” di cui il monaco e santo dottore della Chiesa armena Gregorio di Narek era devoto e così amava invocarla.
Ella accompagni la nostra vita, faccia risplendere in noi la luce di Cristo, il Santo di Dio, il Trasfigurato-Risorto, l’unico Maestro “chiave, centro e fine di tutta la storia umana” (GS 10).
Così sia.