La celebrazione

«Preti del deserto e della strada»

L’ordinazione sacerdotale di Daniele Verzì

Lunedì 29 giugno il vescovo Luigi Marrucci, amministratore apostolico per la Diocesi di Civitavecchia-Tarquinia, ha presieduto la celebrazione eucaristica nella Cattedrale di Civitavecchia per l’ordinazione sacerdotale di Daniele Verzì.
Si è trattato di una celebrazione ricca di risvolti e di significati.
L’ordinazione del giovane Verzì si è svolta infatti nel giorno del 50° anniversario di ordinazione sacerdotale del vescovo ed è stato anche il saluto che il presule ha rivolto alla diocesi che ha guidato per dieci anni. Il prossimo 25 luglio si insedierà infatti monsignor Gianrico Ruzza come suo successore, nominato da papa Francesco lo scorso 18 giugno.
Di seguito il testo integrale dell’omelia
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“E’ il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo…
il suo amore è per sempre” [Sal. 118 (117), 24.29].Carissimo Daniele, dopo un tempo di discernimento, di preghiera, di riflessione, aiutato da buoni consigli, “esaminato il cuore per vedere se ciò che stiamo facendo è secondo Dio” (ci ricorda San Barsanufrio, anacoreta e padre del deserto tra il V-VI secolo d.C.), con gioia, oggi, ti consacro presbitero della Chiesa di Dio, che vive a Civitavecchia-Tarquinia.
Il brano della prima lettura, tratta dal secondo libro di Luca (At 12,1-12), ci presenta Pietro che, per iniziativa di Dio, è liberato dal carcere. Arrestato in prossimità della festa di Pasqua, Pietro celebra la sua vera Pasqua dalla schiavitù e dal male con la liberazione dalle catene e con la professione di fede in Gesù Cristo: “ora so che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che il popolo dei Giudei si attendeva” (At 12,11). Paolo, ai cristiani di Efeso (Ef 4,1-7.11-13), presenta Cristo “uomo nuovo” che tutti unisce nella “carità” e nella “santità”. È lo Spirito di Dio che fa dei molti un “solo corpo”, li compagina e rende la loro vita armoniosa, serena, felice. All’interno di questo corpo poi vi sono una pluralità di ministeri e di carismi, opera dell’unico Spirito che si dona al singolo per l’utilità di tutti.
Il Vangelo (Mt 16,13-19) presenta la professione di fede dei due apostoli, accomunati dal perdono ricevuto dal Signore e legati tra loro dall’amore per Colui che li ha scelti e inviati.
Simone – con il nome aramaico Kefa, datogli da Gesù – è il discepolo della prima ora, la roccia su cui il Maestro costruisce l’edificio Chiesa e a cui da il potere delle chiavi per aprire e chiudere, per legare e sciogliere; Paolo, dopo la Pentecoste, è il chiamato sulla via di Damasco.
Pescatore il primo, maestro della legge l’altro. “Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato… martirizzati in giorni diversi, erano una cosa sola… essi sono chiamati colonne della Chiesa nascente” (Sant’Agostino, Discorso 295,8).
Caro Daniele, in questa Liturgia della Parola è racchiuso tutto il nostro ministero sacerdotale: dal carcere della nostra umanità, Cristo ci libera per configurarci a sé, per renderci, nel suo corpo, una sola realtà con il suo popolo; per inviarci ai fratelli come apostoli, testimoni e ministri del suo amore.
Sono alcuni tratti sacerdotali su cui ora desidero fermare l’attenzione.

Preti feriti dallo sguardo d’amore di Gesù.
“Gesù salì sul monte, chiamò a sé quelli che voleva… ne costituì dodici, perché stessero con lui” (Mc 3,13-14). Nella comprensione biblica, il monte è il luogo della solitudine, della separazione, della prova, della rivelazione, dell’incontro con Dio; è luogo in cui nasce Israele come popolo di Dio e, con i dodici, nasce il nuovo Israele. “Li chiamò a sé”: Gesù non chiede nulla; l’unico perché del dono, è l’amore. Il discepolo è uno conquistato dall’amore di Gesù. Il discepolo è uno che, della sua vita, fa dono agli altri! Senza un autentico incontro con Gesù, con il suo amore, con la sua misericordia, con il dono della salvezza, non si può essere preti.
Si esercita il mestiere di prete, ma non si è preti conquistati da Cristo e regalati alla Chiesa.
Occorre lasciarsi affascinare da Gesù, lasciare che ponga il suo sguardo d’amore su di noi, che tocchi la nostra vita e ci comunichi la sua nuova vita (cfr. EG 264).
Senza un legame saldo di amicizia con Gesù, strada facendo, viene meno l’entusiasmo, la forza di seguirlo, la gioia di appartenergli.

Preti che non ostacolano la grazia.
“Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori – ci ricorda Evangelii Gaudium. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa” (EG 47). “Ai sacerdoti, aggiunge Papa Francesco, ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile” (EG 44). La nostra gente vuole bene ai sacerdoti; li stima e li apprezza per l’attenzione e la vicinanza che questi hanno verso le numerose situazioni di vita di tanti nostri fratelli. Ogni persona però è un “roveto ardente” a cui bisogna avvicinarsi a piedi nudi, con rispetto, umiltà e amore. E la gente di oggi è come quella che si accostava a Gesù: va amata così come è, e non come la si vorrebbe.
Il prete che non ostacola la grazia è il prete che ricorre alla grazia e vive nella grazia di Dio. E vorrei descriverla, questa sera, con l’immagine del costato di Cristo squarciato dalla lancia del centurione, da cui esce il sangue del perdono. A quella ferita di amore che perdona, cari confratelli, ricorriamo con frequenza e guardiamoci dentro, senza porre ostacoli “a Colui che ci ama e ci ha liberato dai peccati con il sangue e ha fatto di noi, sacerdoti per il nostro Dio e Padre” come riferisce il libro dell’Apocalisse (Ap 1,5-6).

Preti che vivono la comunione.
Al centro dell’azione pastorale del sacerdote deve collocarsi la cura della comunità, perché cresca “una vita fraterna e fervorosa” (EG 107).
Siamo chiamati, nel ministero, a costruire, con pazienza e con sofferenza, comunità che esprimano comunione. Il contrario è l’individualismo triste, favorito dall’uso dei mezzi di comunicazione che, talvolta, non ci pongono in relazione ma ci offrono incontri virtuali, che non favoriscono la crescita della comunione fraterna.
Caro Daniele e confratelli tutti, fate dell’amicizia la vostra missione sacerdotale in tutte le situazioni di vita in cui il ministero vi pone. Tra voi, prima di tutto, poi con i parrocchiani, con le associazioni, le comunità, i gruppi ecclesiali; siano luoghi di comunione dove le persone stanno bene insieme, con al centro Gesù Cristo, amato prima che annunciato, vissuto e riconosciuto sempre nel volto di ogni fratello.

Preti che amano la Chiesa.
“Uno possiede lo Spirito Santo nella misura in cui ama la Chiesa di Cristo””= “Quantum quis amat Ecclesiam Christi, tantum habet Spiritum Sanctum” ci ricorda Sant’Agostino (In Ioannem Tract. 32,8). Cari amici, amate la Chiesa, amate questa Chiesa particolare di cui siete figli e per la quale siete stati consacrati ministri.
Non considerate la Chiesa come una macchina da far camminare o un’azienda da far funzionare; sentitela e vivetela come una famiglia da amare e servire.
L’apostolo Paolo ci ripete: “Non cerco i vostri beni, ma voi” (2 Cor 12,14): sia questo il programma del vostro ministero.
“Il pastore, colui che serve per amore del Vangelo, attende la ricompensa da quella stessa fonte da cui il popolo attende la salvezza” ci rammenta il vescovo di Ippona (Sant’Agostino, Discorso 46).
“Noi la Chiesa non la lasceremo, non possiamo vivere senza i suoi Sacramenti e senza il suo Insegnamento”: è la dichiarazione di amore che insieme a don Lorenzo Milani, anche noi ripetiamo con determinazione e vigore. Mi diceva un anziano sacerdote: “Prima ho incontrato la Chiesa, poi Gesù; ho conosciuto Gesù attraverso le persone che mi hanno parlato di lui”.
Daniele, ama la Chiesa, ama questa Chiesa più di te stesso, più della tua vita. Non aspettare che ti dica “bravo”, non ti aspettare elogi e privilegi; amala perché l’ha amata Gesù e l’ha amata fino a darle la vita. Amala pensando che tu non sei un dono per lei, è lei un dono per te. Santa Teresa di Gesù Bambino amava ripetere spesso: “nel cuore della Chiesa, sarò l’amore!”. Nella Chiesa sii un cuore che ama!

Preti del deserto e della strada.
Nella vita del sacerdote devono convivere queste due realtà. Il profeta Osea, rivolgendosi al popolo d’Israele che aveva perduto l’ideale del deserto, il luogo in cui era vissuto al tempo della liberazione dalla schiavitù egiziana, afferma: “Io lo sedurrò, lo condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” (Os 2,16).
Cari confratelli, lasciamoci condurre nel deserto e rimaniamo in ascolto e in dialogo, a tu per tu, con il Maestro; facciamo dell’Eucaristia, celebrata e adorata, insieme alla Liturgia delle Ore, il centro delle nostre giornate; lasciamo che l’amore materno di Maria ci renda come lei, discepoli gioiosi e perseveranti di Gesù.
Ma il sacerdote è anche l’uomo della strada, cioè l’uomo dell’azione: “recuperato se stesso nell’incontro con Dio – diceva il Santo Papa Paolo VI – impegniamoci nello svolgimento del ministero, luogo della nostra santificazione”. E’ il “trovare Dio in tutte le cose e tutte le cose in Dio” – “simul in actione contemplativi” come amava ripetere Sant’Ignazio (Costituzioni n° 288). La strada è il luogo su cui Gesù trascorreva le sue giornate, luogo della missione e della sequela.
La virtù, cementata dalle opere e le relazioni, unite alle scelte che compiamo, portiamole avanti con umiltà e carità ed abbiano sempre il profumo di Cristo.
Doroteo di Gaza, un monaco vissuto agli inizi del VI secolo, così insegnava: “Chi costruisce deve poggiare ogni pietra sul fango (oggi diremmo sul cemento), perché se mette una pietra sopra l’altra senza fango, le pietre si disgiungono e la casa cade. Il fango è l’umiltà perché viene dalla terra ed è sotto i piedi di tutti. Ogni virtù senza l’umiltà non è una virtù…Il vertice della costruzione è l’amore, che è il compimento delle virtù, come il tetto lo è della casa”.
Caro Daniele e amici sacerdoti, sono alcune semplici pennellate sulla vita sacerdotale; possano aiutarvi, se lo vorrete, in una progettazione di vita di prete armoniosa e serena. E confidate sempre sull’aiuto di Dio. “Ti darà la forza, Colui che ti ha conferito la dignità” ci ripete il Papa San Leone I; e San Gregorio Magno, commentando il mandato a Simone, aggiunge: “Mi ami tu più degli altri, Simone, figlio di Giovanni? Allora sii pastore”. Sarete preti nel modo in cui saprete incontrare e vivere l’Amore e, nell’Amore, pastori che aiuteranno i fratelli, lontani e freddi, a toccare, come Tommaso, i segni dell’Amore che sono la porta della misericordia, l’accesso al paradiso.

Concludo con un’immagine che vorrei mi legasse ancora di più ai miei sacerdoti, in modo particolare a quelli da me ordinati nel decennio del mio episcopato in questa Chiesa: Paolo, Herbert, Dario, Stefano e oggi Daniele.
Commentando il Salmo 42, sant’Agostino dice: “I cervi … quando camminano nella loro mandria… appoggiano ciascuno il capo su quello di un altro. Solo uno, quello che precede, tiene alto il suo capo, senza sostegno, e non lo posa su quello di un altro. Ma quando chi porta il peso è affaticato, lascia il primo posto ed un altro gli succede”. Dopo questa lunga camminata insieme, è giunto il momento in cui chi ha poggiato il capo su di me, ora diventi il mio sostegno ed io lo posi su di lui, perché mi conduca ai pascoli della gioia eterna.
Ci accompagni Maria, la Vergine odigitria, Colei che è la via, la Tutta Santa, l’aurora del Giorno senza tramonto.
Così sia.