In molti lo hanno conosciuto per l’improbabile farfallino ed il cappello Borsalino che indossava nei suoi servizi al Tg1 dal Palazzo del Quirinale. Alcuni lo hanno conosciuto dalle pagine dei suoi bellissimi libri. Altri lo hanno conosciuto direttamente. Tra questi ultimi, con onore, ci sono anche io. Paolo Giuntella è morto il 22 Maggio scorso dopo aver combattuto, tra temporanee ed illusorie vittorie, la sua battaglia contro il cancro, nelle ultime settimane riapparso con rapida virulenza. È morto a 61 anni lasciando una famiglia con tre figli che portano il nome dei profeti e molti discepoli nel giornalismo e nel cattolicesimo democratico, ammiratori di lui che, come Pietro Scoppola e Vittorio Bachelet, detestava l’appellativo di ‘maestro’. Eppure è così: egli nella sua semplicità, così vera da apparire talvolta quasi bizzarra, nel suo essere sempre se stesso in un mondo che pretende solo di apparire, ha rappresentato un autentico modello di giornalismo pulito, schietto ed appassionato, ha incarnato un attaccamento alla professione che sino all’ultimo ha condotto con costanza e con quella sottile vena di profezia che ogni battezzato deve senza posa imparare a scrivere tra le pagine della vita.
Ci lascia un altro cattolico a modo suo
Un ricordo personale di Paolo Giuntella, giornalista e scrittore recentemente scomparso
In molti lo hanno conosciuto per l’improbabile farfallino ed il cappello Borsalino che indossava nei suoi servizi al Tg1 dal Palazzo del Quirinale. Alcuni lo hanno conosciuto dalle pagine dei suoi bellissimi libri. Altri lo hanno conosciuto direttamente. Tra questi ultimi, con onore, ci sono anche io. Paolo Giuntella è morto il 22 Maggio scorso dopo aver combattuto, tra temporanee ed illusorie vittorie, la sua battaglia contro il cancro, nelle ultime settimane riapparso con rapida virulenza. È morto a 61 anni lasciando una famiglia con tre figli che portano il nome dei profeti e molti discepoli nel giornalismo e nel cattolicesimo democratico, ammiratori di lui che, come Pietro Scoppola e Vittorio Bachelet, detestava l’appellativo di ‘maestro’. Eppure è così: egli nella sua semplicità, così vera da apparire talvolta quasi bizzarra, nel suo essere sempre se stesso in un mondo che pretende solo di apparire, ha rappresentato un autentico modello di giornalismo pulito, schietto ed appassionato, ha incarnato un attaccamento alla professione che sino all’ultimo ha condotto con costanza e con quella sottile vena di profezia che ogni battezzato deve senza posa imparare a scrivere tra le pagine della vita.