Riflessioni a seguito della liberalizzazione del servizio idrico
di Tiziano Torresi
Lo scorso giovedì 19 novembre è stato approvato con voto favorevole della Camera dei Deputati il cosiddetto ‘Decreto Ronchi’ altrimenti noto come ‘salva infrazioni’ per l’attuazione legislativa di un serie di obblighi derivanti da sentenze comunitarie. Con l’articolo 15 di tale decreto il legislatore detta la riorganizzazione dei servizi pubblici in Italia, compreso, in particolare, quello idrico.
Attraverso una gara d’appalto, soggetti privati diventano così gestori dell’erogazione del servizio idrico integrato, in molti casi ancora oggi di competenza dei Comuni. La proprietà della rete rimane pubblica, ma il servizio è destinato ai privati. Viene inoltre stabilito che tale gestione sarà conferita in via ordinaria attraverso gare pubbliche, aperte a società pubblico-private. È previsto poi che entro i prossimi 13 mesi decadano tutte le aziende pubbliche che non abbiano ceduto almeno il 30% dei capitali a soggetti privati.
Potrebbero essere molte ed articolate le riflessioni critiche di natura tecnico-giuridica in merito al provvedimento. Il ricorso ‘ l’ennesimo ‘ al voto di fiducia per decapitare il confronto parlamentare e l’inserimento della materia in un enorme e generico decreto sono state azioni del tutto inopportune e affrettate che non rendono giustizia ad una materia così complessa e delicata come la liberalizzazione dei servizi idrici. Altrettante riflessioni scaturiscono dalla domanda: ma siamo sicuri che la privatizzazione migliorerà la qualità e l’efficienza del sistema rendendolo concorrenziale e, quindi, mantenendone basse le tariffe? Una valutazione ampia, qui impossibile, meriterebbe poi la situazione attuale del servizio, caratterizzato da tariffe molto basse e non uniformi, una rete così disastrata da far perdere in media un terzo dell’acqua immessa nelle tubature, acquedotti frazionati, una domanda vistosamente crescente a fronte della decrescente disponibilità.
Vorrei pertanto limitarmi a sottolineare l’assoluta e urgente necessità di una meditazione sull’importanza e il valore dell’acqua. È una meditazione che siamo chiamati a compiere soprattutto da credenti. È in gioco una sfida enorme della quale le nostrane scaramucce partitiche e parlamentari non si avvedono: è in ballo, a livello mondiale, il destino dell’acqua. Cioè della vita sul pianeta. La stabilità economica e l’equilibrio pacifico del ‘villaggio globale’ non scaturiscono più dai pozzi di petrolio, dei quali possiamo e dobbiamo cominciare a fare a meno, ma dalle sorgenti d’acqua. Se tutti ormai concordano nel ritenere l’acqua un bisogno dell’uomo ed un bene comune io sono tra coloro che, senza equivoci, vogliono vedere invece proclamato il diritto all’acqua come inalienabile diritto universale dell’uomo. Solo se vi sarà questa dichiarazione i Governi di tutto il mondo saranno obbligati a garantire l’accesso all’acqua dei popoli. Cambierebbe la geopolitica. Dovrebbe infatti farci riflettere quanto sta avvenendo in Sudamerica per il controllo delle sorgenti, nell’Africa che muore di sete o nel Medioriente ove il noto e sciagurato Muro serve anche a preservare le fonti di acqua potabile a tutto vantaggio dello Stato di Israele. Nel 2007 l’Alto Commissariato per i Diritti Umani affermava: «È ormai tempo di considerare l’accesso all’acqua potabile e ai servizi sanitari nel novero dei diritti umani, definito come il diritto uguale per tutti, senza discriminazioni, all’accesso ad una sufficiente quantità di acqua potabile per uso personale e domestico ‘ per bere, lavarsi, lavare i vestiti, cucinare e pulire se stessi e la casa ‘ allo scopo di migliorare la qualità della vita e la salute. Gli Stati nazionali dovrebbero dare priorità all’uso personale e domestico dell’acqua al di sopra di ogni altro uso e dovrebbero fare i passi necessari per assicurare che questo quantità sufficiente di acqua sia di buona qualità, accessibile economicamente a tutti e che ciascuno la possa raccogliere ad una distanza ragionevole dalla propria casa». Ne consegue che, ove riconosciuto a chiare lettere tale diritto, le aziende private che, in quanti tali, hanno come scopo precipuo quello di massimizzare i ricavi e non quello di garantire un diritto a tutti, potranno risultare almeno inadatte nella gestione dei servizi idrici.
Molte e difficoltose iniziative da parte di Organizzazioni e singoli cittadini sono oggi in corso per giungere a questa formulazione. Si auspica da molte voci che l’imminente Conferenza di Copenaghen sui cambiamenti climatici e sul riscaldamento globale affronti la materia. Inutile tuttavia nascondere l’enorme sforzo che multinazionali e lobbies interessate a facili e miliardari guadagni stanno facendo per ridurre l’acqua a merce nella prassi e nella normativa nazionale dettata dai parlamenti. È emblematica l’impennata delle quotazioni in borsa delle società di acque potabili italiane non appena è stato approvato il decreto Ronchi; le cifre del business mondiale delle acque sono altrettanto impressionanti.
Da credenti, il diritto all’acqua, il cui altissimo valore simbolico e sacramentale ci è anche ben noto, deve starci particolarmente a cuore. Anzitutto nel consumo quotidiano, che deve risparmiare con intelligenza un bene inestimabile ma non illimitato, che dovrebbe evitare l’acquisto di acque in bottiglia dal momento che dal rubinetto esce, in tutta Italia, l’acqua più buona e controllata d’Europa. Significative le parole del comboniano padre Alex Zanotelli, indomito alfiere della campagna per il diritto all’acqua: «Le problematiche legate all’accesso e alla gestione dell’acqua ci interpellano direttamente anche come cristiani. Lo ha sostenuto lo stesso papa Benedetto XVI nella sua enciclica sociale Caritas in Veritate, dove afferma chiaramente che il diritto all’alimentazione e all’acqua ha un ruolo fondamentale per il perseguimento di altri diritti, a cominciare dal diritto primario alla vita. E sono molti oggi gli esperti che ritengono che proprio quello che dice il Papa possa essere la base giuridica più sicura per fondarvi il diritto all’acqua, anche in chiave internazionale. Toccherà ora all’Onu proclamare tale diritto».
Il Magistero ha d’altronde usato parole inequivocabili: «L’acqua, per la sua stessa natura, non può essere trattata come una mera merce tra le altre e il suo uso deve essere razionale e solidale. La sua distribuzione rientra, tradizionalmente, fra le responsabilità di enti pubblici, perché l’acqua è stata sempre considerata come un bene pubblico, caratteristica che va mantenuta qualora la gestione venga affidata al settore privato. Il diritto all’acqua, come tutti i diritti dell’uomo, si basa sulla dignità umana, e non su valutazioni di tipo meramente quantitativo, che considerano l’acqua solo come un bene economico. Senza acqua la vita è minacciata. Dunque, il diritto all’acqua è un diritto universale e inalienabile» (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 485).
Concetto ripetuto dal Papa nel recente discorso alla FAO, ove ha spronato i governanti a «maturare una coscienza solidale, che consideri l’alimentazione e l’accesso all’acqua come diritti universali di tutti gli esseri umani, senza distinzioni né discriminazioni» e dalla Chiesa italiana che nel 2007, nel messaggio per la Giornata per la salvaguardia del Creato, affermò: «In quanto bene di tutti l’acqua non è una realtà puramente economica. Come dono derivante dalla creazione, l’acqua ha destinazione universale, da regolamentare a livello normativo. Il contributo che anche i soggetti privati possono dare alla sua gestione non deve, però, in alcun modo andare a detrimento di quel fondamentale diritto all’acqua, che i soggetti pubblici devono garantire a ogni essere umano».
Sono formulazioni che interpellano la nostra coscienza e devono indirizzare le nostre buone pratiche.