Di seguito riportiamo integralmente l’omelia di S.E. Mons. Giuseppe Bertello, Nunzio Apostolico in Italia, pronunciata durante il solenne Pontificale in Cattedrale per la festa di Santa Fermina, Patrona di Civitavecchia e Amelia, Protettrice dei Naviganti.
la coerenza nel testimoniare la fede
Qualche settimana prima della sua morte, il vostro compianto vescovo, Mons. Carlo Chenis, al quale mi legava da tempo un’amicizia fraterna, mi aveva invitato a presiedere questa celebrazione in onore di Santa Fermina, alla quale, come voi sapete, teneva moltissimo come un importante momento di incontro con tutta la città. Oggi, lo sentiamo spiritualmente vicino a noi e siamo certi che ci accompagna con la sua preghiera e la sua intercessione presso il Signore.
Permettetemi anche di dire un grazie sincero a S.E. Mons. Gino Reali, che ha accettato non senza qualche sacrificio di accompagnare, come Amministratore Apostolico, la diocesi di Civitavecchia fino alla nomina del nuovo Vescovo. Rivolgo un particolare e deferente saluto alle Autorità presenti augurando loro che l’intercessione della Santa Patrona li aiuti a ricercare sempre, con intelligenza e amore, il bene comune per i singoli cittadini e per l’intera comunità civile. A tutti dico la mia gioia di trovarmi in mezzo a voi e di portarvi la Benedizione del Papa.
Voi conoscete la vita di Santa Fermina: una giovane donna, di buona famiglia, che accoglie il Vangelo e si converte e, per rimanere fedele al Signore Gesù non teme l’ira del padre e lascia i suoi affetti più cari approdando nel suo esilio proprio qui a Civitavecchia, dove rimane per qualche tempo, prima di inoltrarsi verso l’Umbria dove testimonierà la sua fede subendo un atroce martirio.
Le antiche tradizioni, fiorite attorno alle notizie storiche sulla sua vita, hanno segnato profondamente la vita di Civitavecchia ed ancora oggi, come in passato, invitano ciascuno di noi e tutta la comunità a raccogliere la sua testimonianza e a prendere coscienza della vitalità della nostra fede, del nostro essere ‘del Signore’.
Le pagine della Scrittura, che la Chiesa offre alla nostra meditazione in questo giorno, ci parlano del discepolo di Gesù, che deve essere disposto a seguirlo in tutto, fino alla Croce. Gesù aveva appena annunciato la sua passione e che, solo dopo aver percorso la via dolorosa del Calvario, sarebbe entrato nella gloria della Resurrezione. E, come abbiamo sentito nel Vangelo, ha aggiunto che anche chi vuole andare dietro a lui e vuole essere dei suoi, è chiamato a percorrere lo stesso cammino per entrare nel Regno di Dio ed essere pronto ad affrontare come Gesù la crocifissione, che allora era ritenuta la morte più vergognosa e ripugnante.
L’imitazione della passione di Gesù, annota San Luca, deve essere intrapresa ‘ogni giorno’, con il rinunciare a noi stessi e facendo la sua volontà mettendo in pratica il Vangelo. Invece, chi si aggrappa alla vita e non vuole lasciare ciò che la fa più comoda e facile, chi fugge ciò che costa e ciò che è spiacevole, la perde insieme alla gioiosa certezza della sua salvezza.
La sequela che Gesù ci propone non è limitata all’imitazione del suo esempio, ma trova la sua novità originale nell’essere una vera e propria partecipazione al suo dono totale, nella quale troviamo la grazia e la forza di offrire la nostra vita e insieme la garanzia di condividere un giorno lo stesso suo destino di gloria. E’ la visione solenne che ci ha dipinto l’Apocalisse. E’ quanto ci ha ripetuto San Pietro poco fa: ‘Siate ben contenti di partecipare alle sofferenze di Cristo perché così potrete essere pieni di gioia anche quando egli manifesterà a tutti gli uomini la sua gloria’.
I martiri ‘ i testimoni, come significa il termine greco – sono coloro che hanno seguito Gesù, giorno per giorno, partecipando alla sua passione e lasciandosi immolare come ha fatto lui. Essi incoraggiano anche noi a seguire questa strada. Certo, non tutti sono chiamati al martirio di sangue, come lo è stata Santa Fermina, ma tutti siamo chiamati ad offrire ogni giorno al Signore la nostra esistenza nella fedeltà ai nostri impegni battesimali, nell’obbedienza fiduciosa e perseverante alla volontà del Signore, che si concretizza nella preghiera, nell’esercizio del nostro lavoro quotidiano, nel compimento del nostro dovere, nell’esperienza della sofferenza, fisica o morale, specialmente quando è dura da accettare.
Scriveva uno scrittore della Chiesa antica, Clemente Alessandrino: ‘Il martirio consiste nel testimoniare Dio. Ma ogni anima che cerca con purezza la conoscenza di Dio e obbedisce ai comandamenti di Dio è martire sia nella vita che nelle parole. Essa, infatti, pur se non versa sangue, versa la sua fede’vivendo secondo le parole del Vangelo per amore del suo Signore’. Vale a dire: il cuore di colui che decide di seguire Cristo è affascinato da lui, è pieno di amore adorante e stupito per lui, che diventa perla insuperabile e tesoro incomparabile della sua vita.
Gesù, però, non si accontenta di domandare di seguirlo, ma, con la sua parola ammonitrice, previene i suoi discepoli che, se saranno coerenti con la loro scelta, troveranno opposizioni e sofferenza. Chi confessa questo Gesù – crocifisso come un reietto malfattore – e fa della sua parola un programma di vita, può incorrere nella tentazione di vergognarsi di lui, di abbandonarlo tanto più che la sua scelta ‘ contrariamente a quanto pensavano gli Apostoli prima della Resurrezione – non è comoda, non porta in tasca del denaro, anzi, può creare delle difficoltà anche a livello sociale. E’ la reazione immediata che una persona prova per sfuggire all’offesa e al disonore.
Fin dall’inizio della sua storia la comunità cristiana ha fatto questa esperienza. San Pietro, nella pagina che ci è stata proclamata, ha ripreso quanto Gesù aveva detto, esortando i cristiani a non meravigliarsi di essere perseguitati, a non avere vergogna, ma a sentirsi felici e a ringraziare Dio di portare questo nome. Il cristiano non deve avere paura di nessuno, non deve temere il male, quando fa il bene. La parola di Pietro è particolarmente autorevole in questa situazione perché lui non aveva avuto il coraggio di riconoscere di essere un discepolo di Gesù, mentre questi subiva l’onta del processo.
Le difficoltà non sono una disgrazia ‘ afferma l’apostolo – non sono una maledizione perché ogni vera sofferenza per la giustizia va considerata come una beatitudine. Non aveva detto Gesù nel discorso della montagna: ‘Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia?’ (Mt. 3,11). D’altronde, Pietro è convinto che la coscienza retta dei cristiani, nella misura in cui non fuggono, non si nascondono, non dissimulano la loro fede sarà prima o poi riconosciuta.
Il Card. Martini, in una meditazione su questa pagina della Scrittura, scrive che San Pietro più che a una vera e propria persecuzione politica contro la comunità cristiana, si riferiva alla ‘situazione di minorità, di emarginazione e quasi di disprezzo, in cui erano tenuti i cristiani nella società di quel tempo: considerati un gruppo poco influente, senza potere, un gruppo che si poteva tranquillamente deridere o disprezzare’ (Il segreto della prima lettera di Pietro, pag. 119).
Oggi, siamo chiamati anche noi a confrontarci con la parola esigente ma piena di speranza del Signore. Gesù ci chiede se vogliamo seguirlo, se vogliamo essere suoi discepoli nonostante le difficoltà, che possiamo incontrare in una società nella quale non mancano aspetti che rendono difficile o quasi incomprensibile il credere. Pensiamo al venire meno del senso cristiano della vita; alle incertezze sull’identità della famiglia; ai dubbi sul senso del lavoro; all’interrogativo se valga la pena di vivere con un certo ordine o non sia più comodo vivere ‘così come capita’ o secondo le attrazioni del momento.
Diceva, a questo proposito, Mons. Chenis: ‘Siamo in una congiuntura gattopardiana, in cui le posizioni ideologiche si cambiano in misura dei mutati interessi personali’Perdendosi il significato della vita, si smarrisce il senso del bene comune e si ignora il metro della coerenza. Anche la vita della Chiesa è indebolita da una pratica superficiale e incoerente. Fermina paga di persona, non rinuncia alla sua fede, non accoglie le lusinghe del mondo. Con altri innumerevoli martiri antichi e contemporanei è passata alla storia per la coerenza nel testimoniare la fede fino all’ultimo respiro’.
Il Vangelo di Gesù non è rivolto a una persona ideale, ma a me, a voi, oggi, nel contesto socio-ciulturale in cui viviamo, affinché affidiamo consapevolmente la nostra vita al Signore. Nel credere, infatti, viene messo in gioco ciò che abbiamo di più nostro: il cuore, l’intelligenza, la libertà, in un rapporto personale con il Signore che opera in noi.
La celebrazione della nostra Patrona dovrebbe diventare un’occasione propizia per scoprire uno stile di vita valido per questo nostro tempo, per questa città, che sia anche capace di far emergere che il cristianesimo è capace di ispirare per se stesso la vita della persona umana nelle sue forme quotidiane: nei suoi affetti, nel lavoro, nella trasmissione della vita e della cultura, nelle varie forme di convivenza sociale.
D’altronde, questa festa così solenne sta ad indicare quanto siano fecondi per la città i valori spirituali e quanto sacra per il cristiano sia la responsabilità sociale. Diceva il Papa Giovanni Paolo II a conclusione del Giubileo: ‘Il versante etico-pubblico si propone come dimensione imprescindibile della testimonianza cristiana; si deve respingere la tentazione di una spiritualità intimistica e individualistica, che mal si comporrebbe con le esigenze della carità, oltre che con la logica dell’Incarnazione e, in definitiva, con la stessa tensione escatologica del cristianesimo’ (NMI, 52).
Illuminati dal Vangelo, vogliamo leggere la storia per scoprire ciò che in essa, come cristiani, siamo chiamati a essere e a fare affinché il Vangelo diventi il criterio ispiratore del modo di pensare e di agire di tutti per costruire quella civiltà dell’amore, di cui spesso hanno parlato gli ultimi papi e che sola può garantire il sorgere di una nuova umanità.
In tempi in cui si discute tanto di laicità, mi sembra prezioso il contributo di questa celebrazione: tra Chiesa e mondo c’è una vicinanza insopprimibile, che deve portare a un dialogo ragionevole, responsabile e rispettoso, nello sforzo di edificare insieme una società più umana e più libera
Le trasformazioni in atto, che coinvolgono vari aspetti della cultura e talora sembrano far emergere, come dicevo, situazioni lontane dallo spirito del Vangelo, non ci dispensano dal contributo che come discepoli del Signore siamo chiamati a dare alla società, che, nel clima di frammentazione e di conflittualità che stiamo respirando, rischia di far prevalere la logica dell’affermazione degli interessi dei singoli e dei gruppi.
‘Se oggi il tessuto della convivenza civile mostra segni di lacerazione ‘ scrivevano i nostri Vescovi dopo il Convegno di Verona ‘ ai credenti’si chiede di contribuire allo sviluppo di un ethos condiviso, sia con la doverosa enunciazione di principi, sia esprimendo nei fatti un approccio alla realtà sociale ispirato alla speranza’.
Rivolgiamo allora la nostra preghiera a Santa Fermina e affidiamoci alla sua intercessione. I cristiani di Civitavecchia e la stessa società civile hanno sempre percepito la testimonianza del suo martirio non come una realtà del passato, ma come qualcosa di vivo, come una ricchezza spirituale. Preghiamo perché anche noi siamo capaci di seguire Gesù con fedeltà e coraggio, in ogni momento della nostra vita.