‘La lettera uccide, ma lo Spirito dà Vita’


Civitavecchia
 
Martedì scorso sono arrivati in città oltre seicento cittadini tunisini provenienti da Lampedusa
 
‘La lettera uccide, ma lo Spirito dà Vita’
 
 
«Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane». (Gv. 9,41)
 
 
     Domenica scorsa, ascoltando il Vangelo della guarigione del cieco nato e del rimprovero fatto da Gesù ai farisei, nessuno di noi poteva sapere che da li a poco ci saremmo confrontati con una prova simile; nessuno poteva profetizzare ciò che si è verificato in questi giorni con l’arrivo massiccio e improvviso delle centinaia di profughi nella nostra città. Finché la situazione di emergenza la vedi in televisione ed è distante centinaia di chilometri, puoi scambiarla per un film e il coinvolgimento non ti tocca più di tanto. Ma sapere che dietro casa si trovano persone di un’altra cultura, lingua e nazione, il primo sentimento che ti pervade è la paura. Paura dell’ignoto, dei rischi che puoi correre, paura e insicurezza e più persone o ‘ cose’ hai da difendere, più temi.
            Quanti di noi sono riusciti ad eliminare, a superare questa paura istintiva? Quanti hanno sostituito la paura con il raziocinio e quanti hanno fatto spazio alla saggezza? Per non dire poi quanti hanno avuto il coraggio di esprimere l’amore per il prossimo, il desiderio di aiutare e di essere accanto a chi soffre? Ed ancora, quanti di noi sono riusciti ad eliminare la cecità egoistica e i preconcetti giustificativi per far spazio alla bontà e al cuore cristiano?
            Dicono i Santi Padri, come anche il Talmud, che Dio è sempre accanto a colui che soffre. La nostra paura istintiva, nata dall’ignoranza ed egoismo, deve far spazio ad altri sentimenti che correggano non solo i nostri pregiudizi ma anche il nostro agire e vivere cristianamente.
            In questa prima fase è ovvio che siano le Istituzioni – e il rispetto delle regole ‘ a dover organizzare l’improvvisa situazione creata, ma questa presenza ‘statale’ non ci esula dal nostro compito e dalla nostra occasione che la storia ci pone dinanzi.
            Dobbiamo sapere che più di noi sono loro ad aver paura. Sono loro che temono e che rischiano. All’arrivo sono stati trattati da detenuti, anche se nessun tribunale ha mai decretato ciò (in uno Stato di diritto, nessuno può essere privato dalla sua dignità e libertà finché un tribunale non abbia decretato diversamente); solo la speranza di una situazione migliore di quella da cui sono scappati li ha spinti di affrontare l’ignoto, rischiare la vita e lasciare i loro cari.
            Se non riusciamo ad accontentare la loro speranza, almeno cerchiamo di non appesantire la loro già difficile situazione. E poi non dobbiamo dimenticare che lo Stato, le Istituzioni hanno il compito di rendere funzionante la nuova situazione, ma poi spetta a noi far sentire la vita, il calore umano, la condivisione. Già le Associazioni umanitarie come la Croce Rossa e la Caritas sono sempre presenti in prima linea, ma anche noi, individualmente, dopo aver sostituito la paura con il coraggio della testimonianza cristiana, saremmo chiamati e non dovremo indietreggiare. 
 
                                                        
                                                         Mons. Giorgio Picu, Responsabile Ufficio Diocesano Migrantes